Il primo trimestre dell'anno si è rivelato, per i casinò italiani che rendono noti i dati, fortemente positivo sia in termini di incassi che di ingressi. E lo stesso vale per quello di San Marino, che non è un casinò in senso stretto e, ancor di più, non è italiano, pur tuttavia rivolgendosi largamente a una clientela tricolore.
Sembrano dunque lontani i tempi in cui ogni mese Gioconews.it scriveva di segni meno, di cali che sembravano inarrestabili, stavolta attenendoci strettamente ai casinò italiani. Sembrava, a chi scriveva, che il progressivo ridimensionamento del mercato li avrebbe condotti a una non felice condizione di nicchia, destinata a una clientela sempre più anziana e non caratterizzata da quel cambio generazionale che è fondamentale per la sopravvivenza di qualsiasi attività economica e commerciale. E invece, dati alla mano, pare che queste fosche previsioni fossero sbagliate. Nonostante il Covid, che sembrava avere assestato il colpo decisivo all'attività del gioco fisico in generale, e dunque, più ferocemente ancora, su quelle attività tradizionali come i casinò, più restie a cercare ancore di salvataggio nell'online, nella multicanalità e, in generale, nell'innovazione e diversificazione.
E invece no. Appunto. Anzi, la rinnovata voglia di normalità che sta caratterizzando l'era post pandemica, si traduce anche in voglia di socialità, che dunque è quasi per definizione voglia di aggregazione in luoghi fisici. E i casinò, luoghi di gioco, ma anche di incontro, hanno finito, almeno in questo primo arco di post pandemia, per conoscere una seconda giovinezza. Certo, con livelli di business ancora ben diversi dagli anni d'oro, e che probabilmente restaranno tali, visto che il panorama del gioco è ormai in Italia ben più capillarizzato. E così resterà, magari in forme e dimensioni diverse, anche una volta che sarà portato a termine il riordino dell'offerta di gioco, inserito nel disegno di legge delega in materia fiscale che, ormai approvato dal consiglio dei ministri, si presta a compiere il suo iter parlamentare e diventare dunque una legge statale sulla base del quale il ministero dell'Economia e delle Finanze redigerà, entro due anni, i relativi decreti delegati.
Manca certamente molto tempo affinchè questo processo giunga al suo compimento, ma intanto, al suo avvio, si è subito notato come il governo non si sia minimamente occupato dei casinò. Dei soggetti di gioco che invece erano stati oggetto di attenzione dell'intesa che era stata raggiunta in conferenza unificata, due legislature fa, nel 2017.
All'epoca i casinò in effetti se la passavano in maniera diversa rispetto a oggi: peggio, senza alcun dubbio. Da qui l'attenzione che il legislatore aveva loro riservato, da un lato ipotizzando la nascita di altre strutture, dall'altro ipotizzando, ancora, una unica società di gestione. Tutte ipotesi che sono rimaste lettera morta e che l'esecutivo attuale non ha neanche preso in considerazione. A meno che non rispuntino nel prosieguo dei lavori di approvazione della delega fiscale, visto che sia alla Camera che in Senato ci sono delle proposte di legge, entrambe a firma Pd, che prevedono un riordino "alternativo" (ma non in tutto antitetico) rispetto a quello del governo Meloni, e che appunto includono anche i casinò.
Tuttavia, anche se Gioconews.it ha ripetutamente segnalato che il governo non ha dato retta ai richiami della Corte costituzionale, che da decenni invita a legiferare in materia di casinò, i diretti interessati sembrano, per così dire, tiepidi rispetto all'idea che nei palazzi romani della politica si parli di loro. E se questo vale per i casinò esistenti che, pare di capire, non ritengono che avrebbero un grande vantaggio a farsi riordinare a livello nazionale, lo stesso vale per gli aspiranti tali. O meglio, i passati aspiranti tali, visto che di enti locali desiderosi di aprire un casinò è da tempo che non si sente più parlare.