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Natura giuridica delle entrate, chiave di volta per casinò e proprietà

13 marzo 2023 - 09:40

Anche la Corte dei conti della Lombardia si esprime sulle tipologie gestionali dei casinò.

Foto di Pavel Danilyuk su pexels.com

Foto di Pavel Danilyuk su pexels.com

La mia curiosità è più che nota. Nelle mie ricerche  mi sono imbattuto in un parere della Corte dei conti della Lombardia sulla tipologia gestionale del casinò di Campione d’Itala. 
L’ho trovato interessante in quanto ero intento a rinvenire ulteriori informazioni qualificate in merito alla natura giuridica delle entrate derivanti all’ente pubblico dalla casa da gioco.

“Com’è noto dal punto di vista civilistico-commerciale l’utile d’impresa è dato dalla differenza tra i ricavi dell’attività imprenditoriale e i costi sopportati per la stessa”.
E ancora: “Inoltre, l’art. 19 del Dl 1 luglio  1986, n. 318, convertito nella legge 9 agosto 1986 n. 488, in riferimento alle entrate derivanti ai Comuni di Sanremo e di Venezia dalla gestione delle case da gioco, espressamente dispone che tali entrate siano da considerarsi ad ogni effetto fin dalla loro istituzione entrate di natura pubblicistica da classificarsi nel bilancio al titolo I, entrate tributarie”.
“... l’attività di gestione di una casa da gioco è da considerarsi un’attività imprenditoriale (…)  inoltre, l’attività di gestione di una casa da gioco non può considerarsi esercizio di funzione pubblica né di pubblico servizio per cui l’esercizio del gioco d’azzardo per il semplice fatto di svolgersi in una casa da gioco gestita da un Comune, non può ritenersi preordinato a soddisfare l’esigenza di realizzare un interesse della collettività (…)".
"Né l’espressa qualificazione di entrata tributaria (citata Ndr) vale a connotare i proventi della gestione di una casa da gioco quali incassi di tipo pubblicistico piuttosto che redditi di natura privatistica".
“Sulla ratio della norma contenuta nell’art. 19 (...) era specificatamente dettata al duplice scopo di stabilire, da un lato, la collocazione nel bilancio dei Comuni (...), dall’altro, di risolvere anche con riferimento al passato, il dubbio presente in giurisprudenza circa l’assoggettabilità o meno di esse all’imposizione tributari diretta”. 

Ora un pochino delle riminiscenze scolastiche, quando studiavo diritto tantissimi anni fa: generalmente la legge dispone per l’avvenire, in altri termini non ha effetto retroattivo. 
Però il Parlamento e gli organi legislativi possono, se lo ritengono giusto e necessario, prevedere delle norme che si applicano anche al passato.
Non avrei voluto tornare su argomenti già trattati più volte, ma quanto precede relativamente alla applicazione retroattiva della norma, mi impone di farlo. Qui non si vuole discutere se la non assoggettabilità era o meno applicabile, ma del fatto che la ratio è sempre la stessa: parliano in definitiva della consistenza di disponibilità economica per l’ente locale, si versa nel campo delle entrate tributarie la grandezza delle quali dipende dai costi che si sostengono nell’attvità che si svlge per ottenere dette risorse.
La mancia è una parte della vincita. La sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione lavoro della Suprema corte di cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “ Il sistema mancia è retto da un uso normativo (...)  ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore …” Ne ho saltato un bel pezzo perché a quest’ora il lettore la conosce a memoria.

La Legge europea 2015 (Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea 22 ottobre 2014 …) all'articolo 7 prevede e stabilisce che le vincite al gioco corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta.
Ecco il mio ragionamento, quello di sempre. In occasione della conversione in legge della L. 31 dicembre 1996 (legge finanziaria per il 1997) n. 669, fu inserito l’art. 10 ter della L. 28 febbraio 1997, n. 30. Detta aggiunta consisteva in una disposizione volta a non applicare l’art.30 del Dpr n.600 del 1973 sulle vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate poiché è compresa nell’imposta sugli spettacoli. L’imposta in parola è aumentata del 10 percento ed è applicata al 50 percento nel caso di gestione diretta dell’ente pubblico.

L’approvazione della Legge europea del 2015 ha definitivamente statuito che le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare reddito nel periodo di imposta.
È agevole comprendere come tale nuova norma trovi conforto e supporto nella evidente conclusione che poteva crearsi con la tassazione delle vincite al casinò: un drastico calo delle entrate tributarie e un duro colpo all’occupazione diretta e dell’indotto.
Orbene ora siamo in una situazione tale per cui non si può negare l’urgente necessità di un intervento mirato a che il paventato possbile non divenga realtà. 

La mancia di specie è una parte della vincita (Cass. Sez. Lavoro, 18/05/1976, n.1776), il 50 percento solitamente è a beneficio della gestione (Cass. n. 672, 09/03/1954). Pare logico ritenere giusto e pacifico che se la parte maggiore della vincita (quella che compete al giocatore) è esente da Irpef lo stesso dovrebbe valere per la parte minore (la mancia a beneficio del croupier quella di competenza della gestione rietrerebbe nei proventi di cui alla L. n. 488/86).
È sotto gli occhi di tutti il continuo calo delle entrate dei casinò autorizzati sia quantitativo sia qualitativo; la situazione attuale vede sempre più diminuire le entrate tributarie a favore dell’ente pubblico titolare dell’autorizzazione alla casa da gioco, le percentuali sui proventi lordi da attribuire alla gestione sono sempre più elevate  invito a verificare i bilanci e, in partilolare, il relativo conto economico.

Il costo del lavoro, anche a causa della diminuzione dei ricavi, ha raggiunto una componente rilevantissima sul totale delle spese; l’occupazione diretta e dell’indotto ne soffre e continuerà a soffrirne se non si pone rimedio ad una situazione ormai insostenibile.
La riduzione del costo del lavoro in discorso permetterebbe un certo riequilibrio nella gestione che dal punto di vista finanziario peserebbe meno sul bilancio  dell’Ente proprietario. Vi invito al tempo stesso, di controllare il quantm, in entrate tributarie, le case da gioco ricevono dalle gestioni.
Mi sento ancora una volta di proporre una riforma strutturale del costo del lavoro del personale addetto direttamente alla produzione tale da incidere oggi quando le gestioni sono in seria difficoltà e domani quando, tutti ci auguriamo, saranno nuovamente in grado di produrre utili unitamente alle entrate di cui sopra.
Questa è senza dubbio l’ultima volta che mi permetto di scrivere in argomento; ascolto parlare e proporre ai più alti livelli la necessità di abbassare il costo del lavoro. Anch’io ho un’idea in proposito e la rendo nuovamente nota forse per sentiri dare del sogntore, poco importa a me non crea

benefici, sono in pensione dal 2001, spero a molti altri.
Riassumendo: la mancia è una parte della vincita, Così recita la sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier. 
Tutti, o quasi, sanno che la vincita al gioco (realizzata nei casino autorizzati) è esente da imposizione, ai fini Irpef, in capo al giocatore vincente.
All’art. 3 della L.381/90 si afferma che le mance in parola costituiscono reddito nella misura del 75 percento del loro ammontare.
L’approvazione del decreto legislativo n. 314/97, in tema di armonizzazione tra importo imponibile ai fini Irpef e quello ai fini contributivi, le mance hanno registrato una ulteriore e giusta, proprio in funzione del loro trattamento fiscale, sistemazione che è stata la normale evoluzione di un concetto da sempre sostenuto dai dipendenti tecnici delle quattro case da gioco italiane.
Non può nutrirsi dubbio alcuno sul fatto che la contribuzione sulle mance ha causato un notevole incremento del costo del lavoro per gli addetti direttamente alla produzione.
Non pare, a me e spero non solamente, logico trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier.
Recentemente la problematica costo del lavoro (anche se nel caso specifico si parla del cosiddetto personale tecnico che, di norma, è percentualmente più numeroso) è stata alla ribalta della stampa.
Scusate, se al termine mi permetto una domanda: per quale ragione e/o motivazione, in un periodo storico ove si parla anche di cuneo fiscale, di costo del lavoro, di gioco pubblico e di riforma fiscale non si prova ad ampliare il discorso alle case da gioco? Non fa anche parte del comparto turistico?

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