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Tassazione mance & casinò, una questione sempre attuale

04 luglio 2022 - 07:55

La questione della tassazione delle mance è di stretta attualità ai fini di aumentare la retribuzione dei lavoratori, ridurre i costi dei datori e apportare maggiori benefici all'ente pubblico.

Scritto da Mauro Natta

Si parla spesso di cuneo fiscale, ecco un esempio di come si potrebbe realizzare un incremento della retribuzione globale del dipendente, un calo dei costi del datore di lavoro e, insieme, un maggior beneficio per l’ente pubblico proprietario della locale casa da gioco.

Ma procediamo con ordine! La mancia è una parte della vincita. La sentenza n.1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, afferma quanto evidenziato.

La Legge Europea 2015, all’art. 7 (Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea 22 ottobre 2014 …) prevede e stabilisce che le vincite al gioco corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta.

Non è logico, ritengo, trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier. Bene inteso, a mio parere personale.
In buona sostanza c’è da ritenere che si possa avviare un percorso virtuoso tale da evitare una partita di giro consentendo all’ente pubblico titolare di una casa da gioco di raggiungere gli obiettivi di cui ai decreti istitutivi delle stesse.

Il disposto del D.L.vo n. 314/97 (armonizzazione) ha stabilito che la mancia in parola, tassata ai fini Irpef, è assoggettata per il medesimo importo a contribuzione pensionistica, contribuendo così ad incrementare il costo del lavoro.
D’altra parte non pareva logico e tollerabile, nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico, che una attribuzione patrimoniale fosse qualificata come compenso a un effetto (quello fiscale) e non ad un altro effetto (quello lavoristico-previdenziale), proprio in un combinato normativo in cui quella qualificazione presuppone necessariamente quest’altra. Eccone la motivazione. Non può nutrirsi dubbio alcuno, di contro, sul fatto che la contribuzione sulle mance ha causato un notevole incremento del costo del lavoro per gli addetti direttamente alla produzione.

In ultima analisi si può ritenere che trattando fiscalmente la mancia come la vincita (della quale, appunto la mancia, è la parte più piccola) si avvia il percorso virtuoso citato che concorre al mantenimento dell’occupazione diretta e dell’indotto, consente allo stesso tempo il raggiungimento dell’obiettivo (entrate tributarie) per l’ente pubblico titolare di una casa da gioco di cui ai decreti istitutivi delle stesse, a datare dal 1927.

Non c’è dubbio, costo del lavoro e occupazione non possono essere coniugati disgiuntamente. Ecco in precedenza il senso della domanda che rispettosamente mi permetto di rivolgere a Chi di dovere: perché non trattare fiscalmente la mancia allo stesso modo della vincita della quale ne è parte?

È anche comprensibile il ragionamento che avanzo: il dipendente non pagherà l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le ritenute sulle mance e il datore di lavoro non ha da versare i contributi previsti.
Allo stesso tempo l’ente pubblico, tra l’altro azionista di riferimento della società che gestisce la casa da gioco, potrà garantire con un minor esborso (percentuale sui proventi) l’equilibrio finanziaruo della gestione e, per contro, godrà di un introito di natura tributaria più consistente derivante, appunto, dal minor esborso accennato.

Riassumendo: l’approvazione della Legge Europea del 2015 ha definitivamente statuito che le vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione Europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare reddito nel periodo di imposta. Si comprende benissimo come tale nuova norma trova conforto e supporto nella evidente conclusione che avrebbe potuto crearsi con la tassazione delle vincite al casino: un drastico calo delle entrate tributarie e un duro colpo all’occupazione diretta e dell’indotto. La precedente normativa italiana prevedeva, al comma 1 dell’art.69 del Tuir (Dpr 22 dicembre 1986, n. 917) che le vincite in discorso costituivano reddito ed erano considerati quali redditi diversi (art.67, comma 1, lettera d).

Recentemente la problematica “costo del lavoro” (anche se nel caso specifico si parla del cosiddetto personale tecnico che, di norma, è percentualmente più numeroso) è stata alla ribalta della stampa. Gli articoli di stampa hanno riempito le pagine di giornali e riviste adducendo, e giustamente, che il costo del personale - avendo raggiunto una percentuale enorme dei ricavi – non avrebbe permesso il pareggio di bilancio.
Al personale tecnico rimarrà il compito di cercare, con l’assistenza delle organizzazioni sindacali, la miglior scelta per una pensione integrativa.
Credo di aver esposto una problematica più che attuale, nella speranza che i proprietari delle case da gioco si attivino, non aggiungo altro per non creare confusione ma rimango disponibile per fornire altra documentazione.

 

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