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Il gioco: fenomeno ancora da scoprire nell'Italia delle dicotomie

04 febbraio 2019 - 08:37

Il Rapporto Italia 2019 dell'Istituto di ricerche Eurispes svela la scarsa conoscenza dei rischi dell'illegalità.

Scritto da Ac
Il gioco: fenomeno ancora da scoprire nell'Italia delle dicotomie

Il Rapporto Italia 2019 appena consegnato agli archivi dall'Istituto di ricerche Eurispes (per la 31a edizione) rivela lo scenario di un Paese che ruota attorno a 6 dicotomie (illustrate attraverso altrettanti saggi e 60 schede fenomenologiche): Pubblico/Privato, Sovranismo/Mondialismo, Lavoro/Tecnologia, Identità/Differenza, Realtà/Rappresentazione, Sicurezza/Insicurezza. Affrontando, quindi, la realtà italiana attraverso una lettura duale dei fatti che l’Istituto ritiene rappresentativi, anche se non esaustivi, della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.

 

In questo quadro generale - e, globalmente, tutt’altro che rassicurante - pur offrendo una panoramica piuttosto completa del fenomeno del gioco pubblico e del suo impatto nei confronti dell'opinione pubblica, attraverso un capitolo interamente dedicato alla materia, il rapporto stavolta pone meno l'accento sul settore, accantonando quella che potrebbe essere la settima dicotomia, assai diffusa nei dibattiti politici e mediatici ma molto meno in quelli della cittadinanza. Ovvero quella relativa al tema oggetto di eterni dibattiti: gioco sì/gioco no. 
 
Al di là dei dati relativi alla partecipazione degli italiani al gioco (quasi 3 italiani su 10, rileva Eurispes, partecipano a giochi con vincita in denaro, con il 71,8 percento che dichiara di non farlo mai) e alle aspettative degli utenti (la speranza di una grossa vincita è la motivazione che più spesso induce a giocare, nel 27,9 percento dei casi), spulciando tra le schede della maxi indagine, emerge una cifra che dovrebbe preoccupare particolarmente politica e istituzioni, anche se rischia di passare, al solito, pressoché inosservata. Si tratta di quella relativa alla percezione del gioco illegale. Solo un cittadino su 4, non necessariamente giocatore, conosce i circuiti di gioco illegale. Ed è proprio questo, probabilmente, uno dei maggiori fallimenti dello Stato nella gestione del sistema del gioco pubblico nazionale.
 
Sì, perché se tutti conoscessero il rischio, l'esistenza e la consistenza della diffusione – passati e presenti – del gioco illegale, probabilmente guarderebbero con occhi diversi all'esistenza di un'offerta di Stato, riuscendo meglio a percepire il lavoro di messa in sicurezza e bonifica realizzato dal Legislatore nel corso degli ultimi 15 anni.
 
Con risultati peraltro straordinari. Anche questi, purtroppo, ignorati dalla maggioranza, e forse anche dallo stesso istituto, visto che nel rapporto si evidenzia – sia pure tra le righe – l'enorme crescita della raccolta di gioco tra il 2003 e il 2008, fino al 2018, sottolineando il passaggio dai 15 miliardi di allora ai circa 100 di oggi: senza evidenziare, tuttavia, il fatto che la raccolta prima del 2003 e in larga parte anche negli anni successivi, era suddivisa tra il circuito legale e quello illecito.
 
Con un progressivo e significativo spostamento, per fortuna, verso quello dello Stato, proprio in virtù della bonifica condotta dal Legislatore, che ha fatto emergere un'enorme economia fino allora sommersa. Ma quanti giocatori sono stati davvero creati dal nulla e quanti invece sono semplicemente transitati dal circuito illegale a quello legale? Ecco una domanda a cui sarebbe utile trovare risposta, anche se forse nessuna indagine, ormai, potrà consegnare un verdetto. Per una parziale distorsione della realtà che continua a perpetrarsi nel tempo, fino a stravolgere completamente lo scenario. Fino al punto da ritrovarsi oggi – come fotografa puntualmente Eurispes – in un paese in cui la legalizzazione della droga, sia pure quella leggera, trova molto più consenso rispetto alla diffusione del gioco. Forse proprio perché, al contrario del gioco, quando si parla di droghe tutti hanno una percezione concreta del fenomeno sommerso, illecito e malavitoso che ne caratterizza la diffusione. E tanto basta per far capire che la legalizzazione permetterebbe di far emergere un'economia sommersa, sottraendola alla criminalità e mettendo al sicuro la salute dei cittadini, visto il largo consumo. 
 
Per questa ragione (e non solo) il fatto che non ci sia una percezione diffusa dell'esistenza e della pericolosità del gioco illegale, è da ritenere una grande sconfitta per il nostro paese, e non solo un'occasione perduta. Non è un caso, infatti, che molti amministratori regionali o politici nazionali, prendano decisioni così importanti come quelle restrittive applicate al mercato del gioco, decisamente a cuor leggero: senza preoccuparsi di studiare il fenomeno e valutarne le ricadute, oltre agli impatti economici e occupazionali. E non è un caso neppure il fatto che molti studiosi di dipendenze, pur evidenziando un fenomeno che esiste e preoccupa, come il gioco patologico, finiscono con l'invitare lo Stato a dismettere il comparto dei giochi pubblici. Ignorando, evidentemente, il rischio del ritorno alla totale illegalità. Senza contare, poi, tutte le altre distorsioni e criticità che caratterizzano il settore, che trovano tutte la stessa origine: dalla delegittimazione dell'industria, al continuo richiamo alla presunta “lobby dell'azzardo”, descritta come una potenza immane, pur rappresentando il settore più bistrattato, tartassato e vituperato dell'intera economia nazionale.
 
Per una tesi praticamente insostenibile, eppure continuamente rievocata, soprattutto dall'attuale governo e dai suoi ministri o seguaci. Se gli italiani avessero piena conoscenza della diffusione e pericolosità del gioco illegale, come pure di quello patologico, non avremmo una rete parallela di raccolta scommesse come quella che opera ininterrottamente sul nostro suolo ormai da anni, la cui esistenza è stata ormai certificata anche dallo Stato. Ma non avremmo neppure un “bersaglio facile” a disposizione della politica, contro il quale scagliarsi ogni qual volta si vuole far colpo sull'opinione pubblica, dimostrando una presunta vicinanza ai problemi dei cittadini. E chissà che non sia proprio questo uno dei motivi per cui il gioco rimane immerso in questo limbo caratterizzato dall'assenza di informazione.
 
Oppure si tratta soltanto di mera ignoranza: della politica, prima ancora che dei cittadini. In ogni caso, e a maggior ragione, ben vengano studi e indagini, come quella condotta da Eurispes, sulla realtà del paese e sulla percezione che ne hanno i cittadini. E qualunque ulteriore studio, indagine e approfondimento che potrà essere dedicato alla materia del gioco. Sempre ammesso che si voglia davvero comprendere la realtà e raccontarla in maniera precisa. Come mai avvenuto fino ad oggi.
 

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