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Natale senza giochi ma la politica smetta di giocare

30 novembre 2020 - 10:02

Settimana decisiva per conoscere come potremo trascorrere le feste e come potranno farlo gli operatori del gioco, con le saracinesche destinate a rimanere serrate.

Scritto da Alessio Crisantemi
Natale senza giochi ma la politica smetta di giocare

Spostamenti, coprifuoco, negozi, pranzi con parenti e al ristorante: non si è parlato d’altro negli ultimi giorni, ma finora si è trattato di anticipazioni. Cosa apre e cosa no – come, pure, dove si potrà andare e dove sarà ancora vietato - si decide questa settimana con il quattordicesimo Dpcm anti-Covid che sarà firmato tra mercoledì e giovedì, 2 o 3 dicembre, dal quale capiremo, una volta per tutte anche se si potrà tornare a giocare nei locali pubblici, oppure no. 

Anche se la strada, in questo senso, è ormai delineata, visto che le principali regole per il Natale “in dimensione Covid”, per dirla con le parole del presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, sono praticamente già pronte, con il coprifuoco che rimarrà in vigore in tutta Italia dalle 22 alle 5, senza deroghe previste per i giorni di festa. Una scelta, questa, che già preclude gran parte delle possibilità per i locali di gaming, tradizionalmente molto frequentati, durante l'ultimo mese dell'anno, soprattutto di sera, per tirar tardi divertendosi, come accade(va) per esempio nelle sale bingo, ma non solo. Tuttavia, se anche al gaming retail fosse concessa la stessa misura prevista per gli altri negozi, sarebbe già un viatico non banale per tutte quelle attività di gioco che puntano invece sugli incassi diurni. Come le sale scommesse o molte sale slot, o gli stessi apparecchi all'interno dei pubblici esercizi. Il governo sta continuando le trattative con i presidenti di regione, perché l’impianto severo pensato da Palazzo Chigi anche per le feste non è condiviso dai governatori, che pensano soprattutto a salvaguardare le attività economiche, cercando di far lavorare tutti quei locali in cui la salute non viene messa a rischio grazie alle misure di contenimento del virus. Un ragionamento all'interno del quale dovrebbero quindi ricadere anche i locali di gioco, tenendo conto dell'alto profilo di sicurezza dimostrato da questi ambienti già nelle fase precedenti e, soprattutto, della bassissima propensione intrinseca agli assembramenti.

Eppure, il tema del gioco, non sembra proprio essere in agenda: anche se l'industria continua a premere proponendo anche misure ancora più restrittive per i propri locali. Del resto, l'idea di riaprire non sarebbe affatto insensata: anzi, al contrario, potrebbe rappresentare un ottima alternativa per regolare qualche momento di svago alle tante persone che saranno costrette a rinunciare agli spostamenti a causa delle restrizioni che verranno a quanto pare mantenute anche per l'ultima parte dell'anno con il blocco delle Regioni. Oltre al tema economico, tutt'altro che banale, vista la necessità di incassare che accomuna ormai tutte le attività, ma anche l'Erario. Tra l'altro, con le stesse logiche, si va anche verso la riapertura dei centri commerciali, specialmente durante il weekend, per favorire la ripresa dei consumi in un periodo così decisivo come il Natale, a patto però che si rispettino tutte le norme di sicurezza e che i grandi mall non superino la capienza massima fissata dai protocolli sanitari. Ed è evidente a tutti quanto in questi ambienti, al contrario di quelli di gioco, siano molto più frequenti e abituali gli assembramenti. E mentre il governo è chiamato a prendere tali decisioni definitive, in questa stessa settimana vengono divulgati anche i dati relativi al Pil del terzo trimestre e al tasso di disoccupazione relativo a ottobre 2020. In uno scenario che si fa sempre più drammatico per il nostro paese. In effetti, alla fine della prima ondata di coronavirus, le prospettive di un rimbalzo a ‘V' dell'economia italiana promettevano un rapido recupero dal grave shock di domanda e offerta, quale costo del lockdown della scorsa primavera. Uno scenario che aveva poi trovato un iniziale riscontro nei dati sul Pil nazionale del terzo trimestre del 2020, con un +16,1 percento (-4,7 percento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente) rispetto al trimestre precedente chiusosi a -13 percento (-18 percento rispetto al 2019). Tuttavia, la recrudescenza nell'ultimo mese della pandemia potrebbe, in virtù delle conseguenti nuove misure di contenimento, riportare il prodotto interno lordo nostrano a contrarsi o a ristagnare, delineando così una più lenta ripresa, a ‘W'. Una differenza di forma quantificabile, secondo l'ufficio parlamentare di bilancio, in un peggioramento nella previsione annuale di caduta del Pil per il 2020 da -9 a -10,5 percento, e soprattutto in un rallentamento del rimbalzo nel 2021 all'1,8, contro il 5,1 percento inizialmente previsto.

Ma quante aziende rischiano ora di chiudere, a causa del lockdown? E' la domanda che si pone oggi il quotidiano economico Ilsole24ore e la stessa che si pongono da settimane gli addetti ai lavori del gioco pubblico, tra le principali vittime della pandemia e del lockdown. Rispetto al tasso di default del 4,5 percento dell'era pre-Covid, si stima oggi il 9,9 percento di chiusure nello scenario medio. Già ora, con le moratorie a fare da anestetico, i default tra le imprese italiane stanno aumentando: rispetto ai mesi pre-Covid l’incremento è del 10 percento circa. Tanto che il tasso di insolvenza è salito da 4,5 al 5 percento. Ma il dato che più fotografa l’affanno delle imprese italiane è l’andamento dei rating: i declassamenti sono stati il 51 percento di tutte le azioni sui rating nel mese di aprile, il 42 percento a maggio, il 38 percento a giugno, e via via fino al 46 percento di settembre.

I dati elaborati da Cerved Rating Agency evidenziano che la crisi economica sta mietendo vittime anche in questo periodo in cui gli interventi statali (moratorie sui pagamenti e prestiti garantiti) aiutano tante imprese a restare a galla. Il problema, per tutti, è infatti legato al “dopo”. Cosa accadrà, infatti, quando tutti questi aiuti (appena prorogati a giugno) termineranno? Quando le moratorie finiranno e le imprese dovranno tornare a pagare le rate dei finanziamenti? Quante Pmi italiane non ce la faranno? Quante le imprese del gioco che potranno continuare a rimanere in piedi?

Stando ai dati generali dell'agenzia di valutazione che assegna un voto a oltre 30mila aziende italiane e che dunque ha informazioni molto capillari sul merito creditizio del made in Italy, in uno studio pubblicato qualche giorno fa, si possono ipotizzare tre scenari da qui al settembre 2021: il tasso di insolvenza arriverà al 7,2 percento in quello migliore (nessun ulteriore lockdown in futuro), al 9,9 percento nello scenario intermedio (nuovi lockdown "soft", come quelli attuali nelle zone rosse) e fino al 15,5 percento nello scenario peggiore (nuovi lockdown totali come a marzo). Rispetto al 4,5 percento pre-Covid, si tratta di più di un raddoppio delle insolvenze nel caso intermedio e di default più che triplicati in quello estremo. Tutt'altro che banale, dunque. Peggio ancora se si pensa che anche questi dati sono “calmierati” dagli interventi statali e dalle moratorie: perché sono stime fatte sui dati di settembre 2020 e proiettate in avanti di 12 mesi, cioè a settembre 2021. Dato che le moratorie dureranno almeno fino a giugno, significa che i default potrebbero aumentare in maniera esponenziale anche in un anno per tre quarti coperto dalle moratorie.

Insomma, nulla di buono all'orizzonte. Soprattutto per le attività di gioco, visto che queste risentono in maniera importante della situazione economica e finanziaria dei consumatori e del clima di fiducia che aleggia nel paese e tra le famiglie. Con la propensione al consumo che diventa inevitabilmente ristretta in tempi critici e ancor più rispetto a consumi “futili” come le spese in prodotti di svago. Nonostante l'opinione diffusa che il gioco sia un settore anti-ciclico e che in tempi di crisi si spenda di più per tentare la fortuna, in realtà, non è mai stato così. La storia (e l'economia) insegnano che in tempi di carestia si gioca di meno, com'è inevitabile. Per una propensione di carattere psicologico e antropologico che può forse trovare riscontro in ambito medico-scientifico, ma non nei dati economici. Per questo, per le attività di gioco, sarà ancora più difficile risollevarsi e non solo ripartire. Da qui la necessità di introdurre non solo meccanismi di ristoro efficaci e slittamenti fiscali per questo tipo di imprese come in parte è già avvenuto e sta avvenendo, ma sarà ancora più importante ripensare le regole rivedendo da principio l'imposizione sulla filiera, tenendo conto dei recenti e repentini aumenti della tassazione su tutti i giochi (e, in particolare, sugli apparecchi) che erano stati pensati e introdotti – e in maniera già piuttosto avventata – basandosi sullo storico del settore e sul presunto fatturato che il settore era in grado di garantire, ma che non potrà mai più essere raggiunto nei prossimi mesi e anni. 

Se il Natale dovrà essere senza giochi, dunque, che almeno la politica smetta di giocare durante le prossime settimane di (mancate) feste, delineando una ripartenza vera dell'economia, per tutti i settori, a partire dal nuovo anno. Che sia all'insegna della concretezza e di una vera riscostruzione.

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