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Gioco, al giudizio dell’opinione pubblica

01 ottobre 2022 - 10:29

L’Italia ha fatto da capofila alla regolamentazione del gambling a livello europeo e globale, per poi diventare il primo a introdurre divieti sulla pubblicità. Vittima del giudizio di pubblico e media.

Scritto da Ewa Bakun
Foto © Markus Winkler / Pexels

Foto © Markus Winkler / Pexels

Da dichiarata “italofila”, con anni dedicati allo studio della lingua, letteratura e cultura italiana, sono ben consapevole del contributo italiano alla civiltà globale. Anche se mi piacerebbe parlare a lungo di questo tipo di contributo, mi limito in questa rubrica a parlare di quello fornito al settore di gioco, in cui l’Italia ha svolto un ruolo (anche) di trendsetter. Stabilendo il primo mercato online regolato, dopo quello della Gran Bretagna, dando una spinta a molti altri Paesi europei che l’hanno seguita come in un effetto domino. 

Essendo cresciuta esponenzialmente con il suo modello di regolamentazione, approfittando dell’accesso al marketing aperto, l’Italia ha però scioccato l’intero mondo del gambling adottando il primo divieto totale di advertising, scatenando un’ondata di revisioni delle leggi di pubblicità in molti altri mercati. 

Abbiamo sentito parlare fino alla nausea della politicizzazione di questo tema e delle origini del divieto legate alla peggiorata opinione pubblica nei confronti del settore dell'azzardo, che solo pochi anni prima era emerso in tutta la sua veridicità. Ma ne parliamo di nuovo qui, adesso, perché è uno degli esempi lampanti di come la percezione pubblica, danneggiata nel corso di (relativamente) poco tempo, abbia influenzato il percorso del mercato e rovesciato la sua fortuna, senza evidenziare dei legami tra maggiore pubblicità e i danni causati dal gioco regolato. 
Con sempre più restrizioni nelle regolazioni europee, il settore ha indicato la mancanza di dati che giustifichino queste misure restrittive. Da parte sua, ha anche reagito con la necessità di investire nella ricerca, in modo da poter fornire una base scientifica per delle ragionevoli contro-argomentazioni. 

Appare infatti logico poter combattere il pregiudizio con l’evidenza, oltre al fatto che nessuno può discutere i numeri. Invece, sembra proprio che lo possa fare l’opinione pubblica, così difficile da cambiare, una volta che è stata definita ed inveterata. 
Lamentiamo spesso le regole introdotte dai regolatori, che seguono le leggi approvate dai politici. Ma ho spesso dei dubbi sul fatto che si capisca che è in ultima istanza proprio il pubblico a richiedere ed influenzare queste leggi. Che si voglia o no, sarà sempre il pubblico a cui rispondono i politici: i quali, a loro volta, ne fanno il loro obiettivo principale, per poter essere rieletti. Pertanto, è l’opinione pubblica, in ultima istanza, che deve essere influenzata dal settore per cambiare i trend negativi nelle regolazioni del gioco d'azzardo. Non ci stupisce infine il fatto che l’azzardo non sia mai un punto da discutere per i politici durante le campagne elettorali, a meno che si parli di divieti e restrizioni. L’Italia stessa lo ha vissuto e testimoniato proprio nell’anno di introduzione di quel divieto infame. 

Per tanti non c’ è molto da fare oltre che minimizzare l’impatto della negativa percezione pubblica. In questa visione pessimista, è nell’interesse dei media, che hanno un ruolo significativo nella formazione dell’opinione pubblica, associare il gioco d’azzardo con dei messaggi sensazionalisti perché sono quelli che attraggono lettori. È vero che sarebbe difficile trovare un articolo sui media mainstream che presenti il settore in una luce favorevole, però è anche vero che i media si nutrono del sentimento del pubblico, che, a sua volta, è influenzato dai media stessi, per un autentico circolo vizioso. 

Tuttavia, per i tanti e un po’ meno pessimisti, bisogna agire usando i dati ben ricercati come arma per combattere le emozioni, basate sulle affermazioni infondate, che contribuiscono alla percezione pubblica e la intensificano. Sembra una soluzione chiara e semplice; ma non lo è, a quanto pare. 
Ci sono parecchie sfide nell’area della ricerca stessa. Collezione e analisi dei dati richiedono tempo, che a volte rende i risultati stessi, quando sono finalmente accessibili, irrilevanti perché non più applicabili od opportuni. C’è inoltre la questione dell’integrità della ricerca, o piuttosto, della percezione dell’integrità dell’evidenza radunata, se proviene ed è finanziata dal settore, sospettato di avere una specifica agenda.

È necessario quindi trovare una formula per collaborare con istituti accademici e di ricerca in maniera trasparente, ma anche distaccata. Sarà al solito il settore a dover finanziare la ricerca, ma ci deve essere un’organizzazione con un ruolo di mediazione che garantisca e assicuri l’integrità e oggettività dei risultati, che siano favorevoli o no a chi paga.

Ma anche se gli sforzi per stabilire un meccanismo di ricerca che possa fornire un meglio evidenziato approccio alle decisioni regolatorie hanno successo, i risultati desiderati non si realizzano se non si segue un investimento proprio e sostanziale nella diffusione dei risultati. Se il messaggio negativo si diffonde rapidamente nei media, quello più equilibrato non avrà uguale fortuna, anzi, richiederà più pressione con una campagna di comunicazione intensa per renderlo cospicuo. 
Ho già parlato in questa rubrica dei pochi fondi che il nostro settore dedica alla sua reputazione. L’investimento maggiore nella ricerca deve essere accompagnato da quello nei messaggi e nei metodi di diffusione, altrimenti l’impegno fallisce comunque.
 

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