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A Trento il paradosso del proibizionismo

17 aprile 2023 - 11:14

Con la (tristemente) nota serie di sentenze del Trga Trento viene confermara la legge provinciale semi-abolizionista che “non preclude lo svolgimento dell’attività di gioco”, ma l riduce fino al 98 percento.

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Potrebbe essere un nuovo parodosso, da aggiungere alla lista di quelli tramandati dall'antichità, che si studiano ancora oggi sui libri di scuola. Stiamo parlando del verdetto plurimo proveniente dal 
Tribunale regionale di giustizia amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol
, relativo al presunto “effetto espulsivo” per il gioco legale provocato dalla vigente normativa della Provincia autonoma, secondo il quale, in realtà, tale espulsione del gioco non ci sarebbe. In quanto, scrivono i giudici, “rapportando i circa 356,2 ha delle aree che possono ospitare l’insediamento delle attività del gioco lecito alla dimensione dell’intero territorio comunale (che oltre ai tessuti urbanizzati comprende peraltro anche il sistema dei territori a valenza ambientale e rurale) la percentuale risulta pari al 2,2 percento”. Concludendo pertanto che non è vero che l'offerta di gioco di Stato venga davvero inibita sul territorio, visto che rimangono delle arie insediabili dove poter dislocare le attuali attività. Quindi, nonostante una quota pari a circa il 98 percento del settore sia destinata a sparire, secondo i giudici non vi è alcun effetto espulsivo. Ritenendo dunque errata quella specie di approssimazione logica - sia pure supportata da principi matematici – con cui gli avvocati difensori delle aziende del comparto avevano osato assimilare quella percentuale vicina al 98 percento, al totale del 100 percento. Sentenze alla mano, quindi, quello che potremmo battezzare come il “paradosso del proibizionista”, potrebbe recitare così: “Non è vero che sto chiudendo le attività di gioco ma queste non potranno operare nel 98 per cento dei casi”. Andandosi ad aggiungere a quelli antichi, di Zenone, Parmenide, Epimenide o Aristotele, o ai più recenti di Bertrand Russel e altri ancora, che si studiano nei Licei. Solo che in questo caso, il paradosso anti-gioco non potrebbe certo entrare nelle scuole, visto che lo Stato – almeno attraverso alcune sue diramazioni, come appunto la provincia di Trento – continua a tenere ben distanti i giochi dagli istituti di istruzione. E non soltanto sulla carta, visto che il “distanziometro” introdotto dalle norme regionali e provinciali e oggetto di discussione anche a Trento, impone proprio l'inibizione dei luoghi di gioco dalla prossimità delle scuole. Ma anche in senso indiretto, a quanto pare, visto che per il gioco non c'è posto alcuno nelle sedi istituzionali, continuando a rappresentare un autentico tabù. Ed è proprio questa, forse, la conclusione più evidente che si può trarre dalla lunga serie di pronunce emesse in materia di gioco pubblico dai tribunali trentini, nel corso di questi ultimi dodici anni: a partire dall'emanazione della prima legge locale di carattere marcatamente proibizionista – cioè quella della provincia di Bolanzo del 2011 – dalle quale ebbe origine l'ormai annosa Questione territoriale, che a quanto pare non è affatto destinata ad essere archiviata. Anzi. Secondo i giudici di Trento, addirittura, non merita neppure di essere considerata, sul punto, l’Intesa tra Stato e Regioni del 7 settembre 2017, la quale mirerebbe a distribuire il gioco legale su tutto il territorio dello Stato in maniera tale da coniugare la sua necessaria riduzione con la capillare ed equilibrata distribuzione del servizio. Il Collegio ha infatti evidenziato che il termine di 7 anni  concesso dal legislatore provinciale agli operatori economici, per la ricollocazione sul territorio della propria attività, “ha costituito un equo contemperamento tra le esigenze di tutela della salute e l’esercizio del diritto di iniziativa economica”. Come dire: sono sette anni che ti viene ripetuto che non sei gradito sul territorio, è quindi il momento che tu te ne vada, e per sempre. Poco importa, dunque, al legislatore locale (come pure ai giudici sul territorio), se gli esercenti e gestori del posto che ora si vedono costretti a chiudere i battenti, stiano esercitando un'attività non solo lecita, ma anche svolta – per giunta – in nome e per conto dello stesso Stato, ricordando che il gioco pubblico è affidato in concessione a dei soggetti privati che lo gestiscono sotto l'Egida del Mef. Aiutando così al mantenimento di quel presidio di legalità e sicurezza che il legislatore nazionale ha voluto creare nel lontano 2003, introducendo la legalizzazione dell'offerta di gioco. Secondo il tribunale di Trento, infatti, non si può nemmeno parlare di illegittimità costituzionale (che si ravviserebbe, secondo i ricorrenti - sull’incompatibilità del cosiddetto “effetto espulsivo” prodotto dalla legge provinciale n° 13/2015 con l’articolo 41 della Costistuzione) visto che tale articolo - nel riconoscere la liberà di iniziativa economica - dispone che la stessa non può “svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, e ammette che la legge possa indirizzare e coordinare “a fini sociali ed ambientali” l’attività economica privata e pubblica. Sta di fatto, tuttavia, che continua a esistere - diventando ancora più evidente e quindi strindente – quell'assurda anomalia in virtù della quale ciò che viene considerato legittimo dallo Stato centrale e, quindi, da Governo e Parlamento, possa essere dichiarato illegittimo da un legislatore locale e dai tribunali competenti sul territorio, come avviene in questi casi con le norme che capovolgono l'orientamento generale su un determinato settore economico nazionale. Tutto questo, peraltro, anche in barba alla Riserva di legge che il legislatore nazionale aveva imposto sul settore: ma a quanto pare, soltanto sulla carta, visto che è stata messa in discussione più e più volte, in questi anni, fino ad arrivare al caso limite di cui ci occupiamo ancora oggi in Trentino. Solo che stavolta il verdetto del Trga di Trento appare come una sorta di Soluzione Finale che non sembra più lasciare scampo agli operatori del gioco pubblico e a quegli esercenti che vedono soccombere le proprie attività davanti al pugno duro del decisore locale. A meno che, a intervenire sulla vicenda, non sia il governo, insieme al Parlamento, introducendo quell'atteso Riordino del gioco pubblico che dovrebbe scaturire dalla conversione in legge di quella legge delega, oggi approdata sui banchi del Parlamento e che tutti – nel settore – attendono di poter discutere e attuare nel più breve tempo possibile. Anche se i 24 mesi di tempo che si è preso il Parlamento per la trattazione della materia, appaiono come un'eternità, almeno per quei lavoratori che si trovano a dover prendere atto delle decisioni del tribunale trentino. 

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