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Due dati e un solo indizio: il gioco pubblico centrale nel paese

07 febbraio 2022 - 09:46

Fatturato in calo e prestiti per la riconversione di molte attività, ma anche tanti miliardi (circa 12) arrivati nelle casse dello Stato nel 2021: è la nuova realtà del gioco. 

Scritto da Alessio Crisantemi
Due dati e un solo indizio: il gioco pubblico centrale nel paese

Un fatturato in calo che riguarda oltre il 58 percento delle aziende del settore, insieme alla necessità di chiedere prestiti per la riconversione dell’attività (per il 47,5 percento delle imprese): ma anche un ammontare di circa 12 miliardi di euro di incassi, dritti nelle casse dello Stato, durante l’intero 2021. Sono questi gli ultimi dati che dipingono la nuova realtà del gioco pubblico italiano, al di là di ogni retorica, ideologia o considerazione personale di sorta. Le cifre, pubblicate nelle ultime ore, derivano da due bollettini ufficiali (e abituali), come quelli divulgati da Istat, l’Istituto nazionale di statistica, che ha incluso il settore del gioco all’interno della sua ultima rilevazione speciale “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19” e dal Conto riassuntivo del Tesoro relativo al periodo compreso fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2021.

Mettendo insieme questi due interessanti prospetti economici e finanziari, si può avere un’idea concreta – ma soprattutto reale – di quello che sta accadendo all’interno dell’industria dei giochi. Favorendo anche qualche riflessione aggiuntiva rispetto all’importanza di un sistema statale di presidio del gioco, che oltre a fornire garanzie fondamentali in termini di legalità, sicurezza e controllo del territorio – come evidenziato in più occasioni, anche attraverso altre indagini ed iniziative istituzionali – è altresì in grado di assicurare certezze economiche al paese. Al punto che, nel 2021, ovvero l’annus horribilis del settore, sono comunque entrati ben 11,7 miliardi di euro nelle casse dell’Erario grazie alla somma dei proventi del gioco del Lotto, del prelievo erariale sugli apparecchi e le altre attività, oltre all'imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici e al versamento delle somme dovute da parte dei concessionari di gioco e ai canoni di concessione, sempre relative agli apparecchi. Nonché alla vendita dei biglietti delle lotterie nazionali ad estrazione istantanea e dal gioco del bingo. Ovvero, l’intero comparto del gioco e dell’intrattenimento.
Se, da un lato, il settore appare comunque particolarmente redditizio per lo Stato, guardando i bilanci anche in un anno così fortemente critico come quello appena andato in archivio, dall’altro – come certifica l’Istati – la convenienza è decisamente minore, o comunque relativa, per le imprese che lavorano nella filiera, visto che su un campione di 90.461 imprese con tre e più addetti attive nell’industria, nel commercio e nei servizi, rappresentative di un universo di circa 970mila unità (ovvero, il 22,2 percento delle imprese italiane che producono il 93,2 percento del valore aggiunto nazionale e impiegano il 75,2 percento degli addetti, 13,1 milioni di persone), il 3,1 percento ha dichiarato di essere chiuso, con l’1,2 percento che non prevede una riapertura.
Con le quote maggiori di imprese chiuse (6mila, il 29,8 percento del settore) che riguardano i settori sportivi, ricreativi e di divertimento (2mila, pari al 26,6 percento).

E anche se – sempre secondo l’Istat - l'orizzonte dovrebbe migliorare, con poco più del 3 percento delle imprese che si giudica “gravemente a rischio”, nel settore dei servizi una maggiore incidenza di imprese con fatturato in calo si rileva nei settori delle case da gioco (58,1 percento), le attività sportive e di divertimento (38,9 percento), le attività artistiche, il settore cinematografico e musicale (35,5 percento) e così via. Dato comunque allarmante, tuttavia, è che a chiedere prestiti per la riconversione dell’attività sono in prevalenza sono proprio le imprese attive nei settori di ristorazione (43 percento), lotterie e case da gioco (47,5 percento).
Insomma, com’è del tutto evidente, oltre a certificare il valore del settore, in senso stretto e non solo in senso lato, le stime di Istat e quella dell’Erario mettono nero su bianco anche lo stato di crisi dell’industria: due facce di quella stessa medaglia che rientra tra i “tesori” dello Stato e che per questa ragione non può essere ignorata. Né tanto meno perduta. Ecco perché è fondamentale avere a disposizione un numero sempre maggiore di dati e statistiche relativi al settore, che consentono una visione chiara e incontrovertibile della sua realtà, invece di affidarsi agli istinti o, peggio ancora, alle ideologie, che molto spesso finiscono col condizionare fortemente l’interpretazione dei fatti relativi a questa particolare industria. Bati pensare all’antico assunto che continua ad essere recitato come un mantra da più parti, secondo il quale “in tempi di crisi si gioca di più”. Quando invece non è affatto così, e i numeri, di oggi come pure quelli di ieri, lo mettono chiaramente in evidenza, visto che quando i cittadini hanno minori disponibilità economiche, spendono inevitabilmente di meno in servizi non essenziali come le attività di intrattenimento. Lo sanno bene gli addetti ai lavori del comparto e ora, a quanto pare, anche i politici e le istituzioni e tutti coloro i quali avranno voglia e piacere di leggere i dati ufficiali rilasciati dagli organi competenti dello Stato.

 

 

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