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La doppia visione del gioco pubblico

30 maggio 2016 - 09:26

Mentre il dibattito attorno al tema del gioco pubblico continua ad ampliarsi, permangono due visioni distinte del comparto che faticano a incontrarsi.  

Scritto da Alessio Crisantemi
La doppia visione del gioco pubblico

 

Se il comparto del gioco pubblico continua ad essere sempre più al centro di campagne mediatiche e – a volte – di sollevazioni popolari che ne chiedono l'abolizione (molto spesso mascherata da un'apparente richiesta di limitazione), nello stesso momento si  registrare comunque una maggiore attenzione rivolta allo stesso settore da politica e (alcune) istituzioni rispetto al ruolo di baluardo della legalità. Cioè come strumento di presidio del territorio per contrastare la diffusione di offerte di gioco illecite che di certo presentano rischi ben più gravi rispetto a quella dello Stato: che sarà senza dubbio eccessiva (e, per questo, da riorganizzare), ma comunque sicura in termini di frodi e controllata nelle possibilità di vincita e nell'erogazione..

Uno scenario duplice, sostenuto da due diverse filosofie: e nonostante il punto di incontro appaia decisamente raggiungibile, quelle due strade faticano ancora oggi a convergere in un'unica direzione. Forse per via dei troppi interessi in ballo, sicuramente economici – visto che sulla materia cominciano a circolare le promesse di vari fondi previsti dal governo nelle ultime iniziative legislative – ma in parte anche squisitamente politici, com'è evidente nello scontro con gli Enti locali. Un conflitto che continua ancora a rivelarsi tale, nonostante i toni distensivi delle scorse settimane, che mal si conciliano con il forfait delle Regioni registrato giovedì scorso nella seduta di lavori del tavolo tecnico istituito dalla Conferenza unificata suo giochi, che non sembra essere affatto di buon auspicio. Mentre tutto intorno continuano a proliferare le leggi di carattere locale che si propongono di fermare il gioco.
Eppure, nella stessa settimana, il comparto del gioco pubblico italiano veniva celebrato, in più occasioni, come modello vincente di regolamentazione, perché in grado di garantire sicurezza e affidabilità. Avveniva a Barcellona, nel confronto tra regolatori e industria promosso da Euromat, dove l'Italia veniva presa come riferimento, e accadeva, nello stesso momento, nel nostro Paese, dove il Forum della Pubblica Amministrazione, tanto per cominciare, proponeva il sistema italiano delle scommesse come strumento ideale per il monitoraggio e la prevenzione delle frodi nel mondo dello sport. E, ancora, nell'anniversario di Sogei – il partner tecnologico dello Stato – nel quale venivano spese lodi nei confronti dell'impianto di estrema sicurezza messo in piedi dal nostro paese per governare il mondo del gioco pubblico. Una serie di considerazioni di cui tenere conto, anche per chi vorrebbe veder sparire del tutto l'offerta di gioco, perché al di là delle ideologie e facendo i conti con la realtà del nostro paese, bisogna osservare come non sia neppure possibile immaginare che gli italiani smettano di giocare: né ora, né mai. Perché lo hanno sempre fatto, puntando denari sui vari circuiti illeciti prima del lavoro di regolamentazione attuato dallo Stato, lo hanno continuato a fare in questi anni nel circuito lecito (e non solo, per giunta) e continueranno a farlo anche se si dovesse decidere di rinunciare a un'offerta di gioco statale. Ma questo significherebbe -  inevitabilmente - consegnare questi giocatori e i loro risparmi nelle mani dell'illegalità (e, probabilmente, della criminalità organizzata, prima candidata a una nuove gestione del gioco illegale). Ma ciò non significa che non bisogna fare nulla e che la situazione attuale sia quella ideale. Anzi, tutt'altro. E lo diciamo da tempo. Per tale ragione continuiamo a ritenere logica, ragionevole e (teoricamente) inevitabile una mediazione tra questi due fronti, nonostante sembri ancora così difficile da raggiungere. E' evidente che la situazione di oggi non può più stare in piedi: com'è evidente l'eccesso di offerta e di distribuzione sul territorio dei prodotti di gioco. Com'è pure altrettanto evidente il rischio di dare campo libero all'illegalità consegnando i cittadini alla criminalità, che certo non si curerebbe di patologie, di prevenzione, di integrazione con i territori e così via. Indicare quali siano le modalità attraverso le quali arrivare a un accordo, è troppo difficile a dirsi. Ma i campi di azione sono tanti: dal coinvolgimenti degli enti locali nella regolamentazione del gioco (come peraltro già indicato da qualche anno dal Decreto Balduzzi), alla riduzione dell'offerta, all'attuazione di campagne (concrete) di prevenzione e percorsi di cura delle patologie, e altro ancora. Ma di certo non si può pensare di vietare tutto, né di mantenere lo status quo. E allora, perché non trovare una soluzione condivisa, sostenibile e davvero praticabile? I tavoli di confronto ci sono e sembrano anche aperti a varie soluzioni. Meglio mediare che vietare.

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