Alla fine, sta prevalendo il buon senso. Nonostante le varie (troppe) difficoltà e i tanti pregiudizi, ancora esistenti, nei confronti del gioco pubblico; che sono emersi tutti, anche in maniera piuttosto chiara e veemente, nelle ultime settimane di scontri politici in Piemonte. Tra maggioranza e opposizione impegnate a trovare una soluzione concreta di fronte allo scempio compiuto in questi anni da una legge sbagliata - e pure palesemente ingiusta - che nessuno voleva prendersi la responsabilità di sovvertire. Per il semplice timore, probabilmente, di vederlo tramutare in un favore concesso a quella fantomatica "lobby dell'azzardo" di cui si sente ancora oggi parlare. Nonostante i reputati schiaffi che il settore ha continuato a prendere negli anni, che tutto fanno capire tranne che comparto possa contare su qualche trattamento di favore. Ma tant'è. E alla fine, dicevamo, è riuscito a prevalere quel minimo di buon senso che rimane nelle aule dei palazzi di governo, anche in quelli di livello locale. Per quella che bisogna considerare comunque una buona notizia, visto che di meglio, in questo momento, non si poteva certo ottenere. Se non fosse, tuttavia, che proprio all'indomani della “soluzione” trovata dal Consiglio regionale del Piemonte per disinnescare la principale mina di una legge marcatamente proibizionista e inevitabilmente letale per tutte le aziende del territorio, è arrivata un'altra pronuncia di estremo buonsenso, ma stavolta da parte di un tribunale. Ma in un territorio altrettanto ostile nei confronti del gioco, come quello altoatesino. Anche se, in questo caso, non venina affrontata in maniera diretta la solita “questione territoriale”, trattandosi di un ricorso contro il cosiddetto “Corona pass”, il verdetto dei giudici è comunque mirato a riaffermare la riserva di legge alla base del comparto del gioco pubblico, (ri)stabilendo che un legislatore locale non può “ampliare” il raggio di azione di norme che vengono dettate dal governo centrale.
Ovvero, proprio quello che non è accaduto fino ad oggi un po' in tutte le Regioni, dove le varie leggi di carattere locale sono andate a intervenire in maniera addirittura contraria rispetto alla volontà dello Stato centrale, contravvenendo anche ai principi base di insediabilità dell'offerta di gioco, giustificati dalla necessità di garantire un presidio di legalità. Solo che in questi ultimi dieci anni (perché tutto è iniziato, è bene ricordarlo, nel lontano 2011 e proprio dal territorio altoatesino dove fu introdotta la prima legge proibizionista nei confronti del gioco) lo Stato non ha mai fatto nulla per far valere tali principi, neppure sul fronte della giustizia amministrativa, con la maggior parte dei tribunali locali che hanno sempre nicchiato rispetto alla materia, se non addirittura appoggiato a spada tratte le motivazioni dei legisaltori locali, anche quando apparivano tutt'altro che fondate dal punto di vista della coerenza con i dettami dell'ordinamento nazionale.
Per questo, le piccole buone notizie di questi ultimi giorni sono da ritenere dei grandi passi in avanti rispetto al passato, che potrebbero ora sospingere il governo e il parlamento verso l'adozione di una riforma degna di tale nome, che si possa considerare un vero e proprio riordino come quello annunciato ormai tanti anni fa, ma mai attuato, né tanto meno concretamente discusso.
Tutto materiale utile, non c'è dubbio, anche in vista degli “stati generali del gioco” promessi dal sottosegretario all'Economia, Claudio Durigon, che ha la delega nei confronti del settore e, quindi, il dovere politico di risolvere i tanti problemi che rischiano non solo di compromettere l'intera industria, ma di creare nuovi e ulteriori problemi all'Erario, di cui non si sente certo il bisogno. Soprattutto in una fase così delicata come quella attuale, in uscita da una prolungata pandemia che ha mietuto fin troppe vittime anche in ambito economico e occupazionale.
Che siano quindi maturi i tempi per arrivare alla svolta tanto attesa dall'intera industria del gioco? Forse è ancora presto per dirlo: ma di certo, come scriviamo ormai da tempo, il primo passo verso una soluzione del problema con i territori, arrivati a questo punto, poteva arrivare soltanto dal revirement delle singole Regioni, ovvero dalla presa di coscienza di un errore commesso da parte delle proprie amministrazioni, che non potevano continuare a ignorare, né tanto meno a perseverare. E ora che a cedere è stato anche il Piemonte, come le tante altre Regioni che lo hanno preceduto (e, forse, come pure le poche altre che rimangono in bilico sul tema), sembra essere ormai avviato una sorta di riordini di fatto, che il governo a questo punto dovrebbe soltanto concretizzare e al limite sviluppare. Cogliendo l'occasione per rendere l'industria pienamente sostenibile, una volta per tutte.