Fino a qualche tempo fa, nei meandri della politica italiana, si era portati a pensare che alcune materie ritenute “scomode” fosse meglio non toccarle. In nessun modo. Evitando addirittura di menzionarle. Tra queste, manco a dirlo, c’è sempre stato il gioco pubblico, ritenuto terreno rovente per qualunque maggioranza di governo e più in generale per qualunque figura politica di vario livello. Meglio quindi non occuparsene, nonostante le varie e ripetute esigenze che si sono susseguite nel tempo, neppure attraverso l’introduzione di riforme: divenute, non a caso, sempre più urgenti e necessarie. L’unica menzione possibile, per i giochi, era per prenderne le distanze: l’unico intervento legislativo consentito, quello che poteva agire sulla leva fiscale. Tutto il resto, meglio evitare. Per non rischiare di dare l’impressione alla cittadinanza che il fine nascosto dietro a qualunque tipo di intervento fosse quello di aiutare la presunta “lobby dell’azzardo”, o comunque per non portare alla luce la realtà di un settore così importante dal punto di vista economico, ma così delicato perché di impatto diretto con le finanze degli italiani.
È proprio da questa “logica” lassista, perpetrata negli anni e permeata attraverso i vari governi che si sono succeduti, che ha avuto origine e si è sviluppata l’ancora attualissima Questione Territoriale: con i governi che non hanno saputo (o voluto) opporsi di fronte alle ripetute emanazioni di leggi di carattere locale – pur essendo nelle loro facoltà, attraverso la valutazione preventiva appositamente richiesta al Consiglio dei Ministri – anche se queste andavano in palese conflitto con la Riserva di Legge applicata al comparto. Un assurdo, dunque, costituzionalmente parlando, eppure talmente usuale nel modus operandi della politica corrente, da essere perpetrato nel tempo. Da qualunque governo, di qualunque colore.
Fino ad arrivare alla legislatura corrente, con il governo guidato dalla premier Giorgia Meloni che, invece, sembra essere intenzionato a occuparsi di tutto: comprese le materie scomode, qual è appunto il gioco. Allo stesso modo tuttavia, mutatis mutandis, nessuno si sarebbe mai immaginato, fino a qualche giorno fa, di trovarsi di fronte a un esecutivo capace non solo di tagliare senza colpo ferire una misura “popolare” come il reddito di cittadinanza, ma di farlo per giunta attraverso un semplice avviso via sms, recapitato a oltre 169mila cittadini, in rappresentanza di altrettanti nuclei famigliari.
Non c’è quindi più da stupirsi, oggi, se l’esecutivo corrente abbia davvero deciso di mettere le mani anche sul gioco, e di farlo nel bene e nel male. Facendo le riforme, dunque (da qui il bene, per il settore), ma anche tirando fuori nuove risorse, magari attraverso qualche rincaro, tra tasse e oneri vari (e qui il possibile male, per gli addetti ai lavori).
Una considerazione, questa, che dovrebbe quindi generare maggiore ottimismo all’interno del comparto, dopo il permanere di quel solito clima di scetticismo nei confronti di qualunque promessa di riordino proveniente dalla politica, dopo i troppi proclami degli ultimi ai quali non sono mai susseguiti fatti concreti. Eppure, stavolta sembra proprio che il governo, di concerto con il Parlamento, stia facendo sul serio, come dimostra l’iter ormai in fase conclusiva che sta portando all’approvazione della legge di delega fiscale che, come noto, contiene al suo interno un intero capitolo dedicato alla riforma dei giochi.
Ecco quindi che l’intenzione del governo si dimostra più seria e concreta che mai. Come pure lo strumento da applicare e il percorso da seguire per arrivare a quel famigerato e atteso riordino.
Quello che manca, semmai, è un vero e proprio piano. Seguendo la cronaca politica degli ultimi mesi e il percorso avviato alle Camere sulla legge delega, raccogliendo le varie dichiarazioni di ministri, sottosegretari e parlamentari coinvolti, si può individuare semmai un’ipotesi di piano, insieme certamente ad alcuni punti fermi: il primo dei quali è il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali più in generale, che si traduce in un coinvolgimento diretto della Conferenza Unificata, attraverso un percorso di concertazione che dovrà portare alla definizione delle nuove regole.
Quello che non è ancora chiaro, tuttavia, è come poter portare davvero a casa questo risultato, di fronte a contesto politico e generale sicuramente meno ostile rispetto a quello degli anni precedenti, osservando come sia cambiato l’approccio dei territori – in più di qualche caso, anche se non in tutti – nei confronti del settore, dopo che le amministrazioni locali hanno capito davvero i disagi che alcune restrizioni avrebbero provocato non soltanto a livello economico e occupazionale ma anche e soprattutto a livello di ordine pubblico.
Sì, perché se la partita può apparire in parte più semplice da giocare rispetto al passato, quello che rimane difficile da affrontare è il terreno di gioco, tenendo conto che la Conferenza unificata rimane sempre e comunque (e notoriamente) un campo ostile di tutti, perché è dove avviene lo scontro (istituzionalmente parlando) tra le diverse anime del paese: un posto dove, oltre alle differenze politiche che si delineano di territorio in territorio, anche e soprattutto rispetto alla maggioranza di turno, si sommano anche le diverse visioni ed esigenze, in una perfetta sintesi di un paese che da troppo tempo viaggia a varie velocità. Si pensi ad esempio alle divergenze tra Nord e Sud, tra regioni autonome e statuti speciali, tra chi sogna nuove autonomie e chi le combatte.
Insomma, non sembra proprio essere quello il posto migliore dove trovare una sintesi di un problema complesso e difficile da affrontare come è sempre stato il gioco. Per ragioni reali, strumentali o ideologiche che dir sì voglia. Ed è proprio questo il punto che continua a rimanere dolente, in vista di una vera riforma del gioco pubblico che possa ritenersi davvero sostenibile.
Anche per questo, negli ultimi giorni, inizia a palesarsi l’idea di una nuova, ulteriore e inevitabile proroga delle concessioni, continuando ad essere ritenute concretamente impraticabili le gare per il rinnovo, almeno nei tempi previsti. Certo, va detto, la proposta (o, meglio, la suggestione) di provare a destinare una parte dei proventi del settore verso gli enti locali potrebbe essere un abbocco, ma non certo la soluzione finale, né tanto meno la panacea di tutti i mali. Soprattutto se, come dicevamo, non tutti i mali rappresentano sempre dei veri problemi. Ma la speranza, ancora una volta, è che quegli stessi mali, veri o presunti che siano, non vengano di nuovo per nuocere. Per il bene di tutti.