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Nuovo Governo, nuovo Parlamento (ristretto), vecchi problemi per il gioco

29 agosto 2022 - 09:05

L'industria del gaming rimane a bocca asciutta anche da quest'ultima esperienza di governo e continua ad attendere quella riforma vitale: che la politica continua a promettere.

Scritto da Alessio Crisantemi
Nuovo Governo, nuovo Parlamento (ristretto), vecchi problemi per il gioco

 

A un meno di un mese dal voto, la situazione in cui si trova il Paese è la stessa di sempre: con i partiti impegnati a promettere la luna agli elettori, il Governo e il Parlamento alla prese con le ultime pratiche da sbrigare – sia pure relative, questa volta, ad incredibili urgenze – e il resto delle riforme in attesa di chissà cosa.

Come quella del gioco pubblico: il cosiddetto “riordino” che, tra promesse ed annunci degli ultimi quattro o cinque governi (più o meno realistici in base alla composizione dell'Esecutivo di turno), continua comunque a sfuggire. Seppure adesso sembra davvero destinata a tornare nel cassetto, se non addirittura ad essere completamente cestinata, in base a ciò che emergerà dalle urne alla fine del mese.

Anche per quanto riguarda il settore del gioco, dunque, siamo alle solite. E mentre prosegue l'attività quotidiana, nell'ormai abituale situazione di precarietà in cui si trova l'intera filiera, dalla politica arrivano una raffica di rassicurazioni e di buoni propositi, come avviene in ogni campagna elettorale. Basta leggere il prossimo numero della rivista Gioco News, in distribuzione (anche online) dal 1° settembre 2022, nel quale abbiamo fatto una ricognizione di tutte le forze politiche, chiedendo il loro parere e programma per l'industria dei giochi. Il risultato, indovinate un po', è che tutti si dicono “attenti” alle problematiche del comparto convinti della necessità di un riordini e fiduciosi rispetto alla sua futura attuazione. Per un fastidioso – sia pure inevitabile – dejà vu, a cui si sono (anche qui) tristemente abituati gli addetti ai lavori, senza mai arrivare al passo immediatamente successivo. O, almeno, senza mai arrivare all'attuazione di una vera riforma, visto che si era già giunti alla scrittura di qualche testo di riordino, anche più di una volta. Salvo poi non vederlo entrare in vigore. Come nel caso dell'ormai antico accordo ottenuto dal Governo Renzi in Conferenza unificata Stato-Regioni: oppure in quello più recente della (bozza di) legge delega impostata dall'ancora sottosegretario all'Economia, Federico Freni.
Ma se nel prossimo e immediato futuro, ovvero nella prossima legislatura, potremo davvero vedere la riforma del gioco pubblico diventare realtà, è impossibile stabilirlo, ora. Anche se appare, purtroppo, sempre più inverosimile.

Tenendo anche conto della nuova composizione del Parlamento, con le nuove Camere in formato “small” che presentano non pochi punti deboli, dal punto di vista dell'efficacia legislativa. Come sollevato da IlSole24Ore, in effetti, nonostante la sforbiciata risolverà gli atavici problemi di spazi di lavoro per i parlamentari e per i rispettivi gruppi di riferimento, occorre oggi interrogarsi sulla concreta ed funzionalità degli organismi, soprattutto in Senato. Al di là di chi vincerà le elezioni politiche del 25 settembre, in effetti, l'unica certezza che abbiamo oggi è che il Parlamento non sarà lo stesso di prima. Con due Camere senza precedenti, “allegerite” di circa il 30 percento nel numero dei parlamentari, che torneranno a riunirsi a fine ottobre, dopo il passaggio delle urne. La riforma costituzionale varata nel 2020 ha infatti ridotto il numero dei deputati dai 630 di prima ai 400 di adesso, e da 315 a 200 quello dei senatori eletti (ai quali si aggiungeranno i “soliti” cinque senatori a vita).

Per un nuovo assetto e una configurazione del tutto inediti, che suscitano una serie di interrogativi sulla prossima attività parlamentare. In primis, per via della riduzione, nell’Aula di Palazzo Madama, del numero delle commissioni permanenti da 14 a 10 accorpandone alcune (Esteri e Difesa, Ambiente e Lavori pubblici, Industria e Agricoltura, Lavoro e Sanità). E gruppi medio-piccoli avranno uno o due senatori in ciascuna commissione, il che impedirà una loro “specializzazione” e imporrà un maggior ricorso ai tecnici esterni e ai legislativi dei ministeri. Oltre alle difficoltà operative che si potranno avere per le Commissioni e gli Organi bicamerali (come Copasir, Vigilanza Rai, Antimafia, quest'ultima particolarmente attenta al tema del gioco). Queste, infatti, dovranno evitare di riunirsi nel primo pomeriggio (quando non ci sono i lavori delle due Aule) in concomitanza con le Commissioni permanenti di Camera e Senato, pena il rischio di far mancare il numero legale nelle une o nelle altre.

Pertanto, l'attività delle Bicamerali in arrivo, sarà ridotta o comunque relegata a convocazioni all’alba oppure al tramonto, con il rischio di una minore attenzione e operatività.
Altra novità potenzialmente degna di nota, tuttavia, sempre in ambito del Senato, riguarda la sua composizione e scaturisce dalla nuova chiamata alle urne. Quest'anno, infatti, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, a partecipare al voto per la camera principale saranno anche i giovanissimi, a partire dall'età di 18 anni e non più a partire dai 21, come avveniva in precedenza. Questo potrebbe determinare una composizione tecnicamente più “giovane” anche degli eletti, o comunque con una composizione del Senato di soggetti anche più vicini alle esigenza delle nuove leve del paese e ai temi di loro interesse. Che questo possa essere un fattore positivo per l'industria del gaming, è tutto però da vedere. Anche se comunque suona come un fattore potenzialmente beneaugurante, tenendo conto dei problemi troppo spesso meramente ideologici legati a un antico pregiudizio nei confronti del settore, che si spera possa essere superato con passare del tempo e delle legislature.

Intanto però, a pesare maggioramente sulle sorti del gioco e sulle possibilità di riforma, è l'agenda del futuro Governo e del nuovo Parlamento, che sarà fortemente condizionata non tanto e non solo dagli inevitabili tempi tecnici necessari per la costituzione di tutti i ministeri e per la definizione dei singoli ruoli, ma anche - e sopratutto – dalle innumerevoli emergenze che il nuovo Esecutivo e le due Camere sono chiamate ad affrontare. A partire dal rincaro energetico e dal peso sempre più schiacciante dell'inflazione, che riguarda qualunque cittadino e qualsiasi impresa, al piano di riforme promesso a Bruxelles che bisognerà inevitabilmente mettere a terra.

Oltre a tutti i provvedimenti attuativi da emanare, legati alle precedenti attività. Si pensi per esempio all'attuazione della travagliatissima legge sulla concorrenza approvato dal Governo Draghi, che rappresenta la riforma chiave del Piano nazionale di ripresa e resilienza, entrata in vigore appena qualche giorno fa (il 27 agosto) in virtù della pubblicazione dello scorso 12 agosto in Gazzetta e dei 15 giorni di “incubazione” previsti prima dell'effettiva entrata in vigore. Nonostante la rilevanza del testo, soltanto una parte delle misure è già operativa, con le altre che attendono un provvedimento attuativo, tra decreti delegati, decreto ministeriali o altre tipologie di atti. E i temi trattati sono tutt'altro che banali: dai servizi pubblici locali, alle gare per i balneari, alle semplificazioni per le imprese, che diventano a rischio, tenendo conto soprattutto che l'attuazione di decreti delegati deve passare per il Parlamento, entro e non oltre la scadenza del 31 dicembre 2022: termine fissato dal Pnrr per l’emanazione di tutti i provvedimenti attuativi della legge.


E anche se i ministeri sono già da tempo al lavoro sui Dlgs, con le varie bozze dei provvedimenti di interesse ormai pronte o quasi, sembra inevitabile che ad esprimersi per il parere (non vincolante) saranno le commissioni del prossimo Parlamento. Con il rischio che su materie così controverse - si pensi alle spiagge, quelle che rappresentano una sorta di beffa per il gioco - i testi possano essere stravolti dalla nuova, futura maggioranza.
Insomma, mentre l'agenda governativa continua ad essere particolarmente calda e la campagna elettorale si sta rivelando sempre più infuocata, a rischiare di andare in fumo sono – come al solito – le riforme. Compresa quella del gioco che – a differenza di tante altre appena passate in rassegna – non risulta neppure in programma. Rimandata a chissà quando e chissà come. Ammesso che il comparto, nel frattempo, riesca a reggere l'urto di questa nuova e ulteriore ondata di lassismo da parte del legislatore. Come nella peggiore tradizione italiana del vivi e lascia vivere a cui ci ha abituati la politica, che oggi diventa però un sopravvivi e lascia sopravvivere.

 

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