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Legge gioco Bolzano, CdS: 'Inammissibile ricorso per revocazione'

23 novembre 2022 - 17:10

Per il Consiglio di Stato è inammissibile il ricorso proposto da alcune attività di gioco per la revocazione della sentenza del 2019 che ha negato l'effetto espulsivo della legge provinciale di Bolzano.

Scritto da Fm
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Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto nessuno dei vizi denunciati rientra nella nozione di 'errore di fatto' rilevante ai sensi dell’art 395 Cpc n. 4), non apprezzandosi, nella impugnata sentenza, alcuna omissione di pronuncia sui motivi d’appello proposti dalla odierna ricorrente, né alcun 'abbaglio dei sensi', id est: errore revocatorio, che possa avere indotto il giudice a ritenere di non doversi pronunciare sui motivi d’appello proposti – che, infatti, hanno ricevuto tutti una risposta nel corpo della motivazione – o che possa avere indotto a travisare il senso di quanto riferito dal consulente tecnico; tutte le affermazioni contenute nella consulenza tecnica, inoltre, sono state puntualmente esaminate e valutate nella sentenza impugnata, la quale se ne è intenzionalmente, ma motivatamente, discostata a tratti, e, peraltro, non su fatti oggetto di accertamento, ma su opinioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio”.

 

Così, in una serie di sentenze, i giudici del Consiglio di Stato si pronunciano in merito alla richiesta di revocazione della sentenza emessa nel marzo 2019, con cui il Collegio aveva confermato la decadenza delle autorizzazioni per alcune sale gioco della provincia di Bolzano e negato l'effetto espulsivo della normativa vigente.

Una sentenza ritenuta dalle attività di gioco ricorrenti “effetto di un errore di fatto che avrebbe determinato l’omessa pronuncia sui motivi d’appello sollevati dall’appellante nonché il travisamento del contenuto della consulenza tecnica d’ufficio firmata dal professor Cesare Pozzi”.

Ad avviso dei ricorrenti la consulenza tecnica d’ufficio avrebbe fatto emergere almeno tre aspetti sintomatici di una possibile violazione dell’articolo 41 della Costituzione, sulla libertà dell'iniziativa economica privata: “I. la disfunzionalità della normativa provinciale rispetto ai fini dichiarati; II. l’alterazione significativa del segmento di mercato; III. la totale discrezionalità della quale è investito l’organo attuatore, idonea a generare un potenziale effetto espulsivo per le imprese operanti nel settore. Di tali aspetti il Consiglio di Stato non avrebbe tenuto conto a causa di un’errata comprensione del contenuto della consulenza tecnica d'ufficio, incorrendo in un errore di fatto sub specie del travisamento dei fatti”.

 

In relazione al primo motivo di impugnazione, per i giudici del Consiglio di Stato “occorre premettere che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ammette la possibilità di esperire il rimedio della revocazione per errore di fatto in caso di omessa pronuncia su domande o eccezioni di parte: 'Il rimedio revocatorio per errore di fatto risulta utilizzabile anche a fronte di un'omessa pronuncia su domande o eccezioni costituenti il thema decidendum' (Consiglio di Stato sez. II, 19/01/2021, n.580). Tuttavia, affinché l’omessa pronuncia si traduca in errore di fatto revocatorio ai sensi dell’art 395 n. 4 Cpc, essa deve derivare da un errore percettivo del giudice, il quale non deve essersi reso conto dell’esistenza della domanda o dell’eccezione di parte. Non costituisce, infine, motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell'esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte dalla parte a sostegno delle proprie censure. Nel caso in esame, l’analisi della sentenza non consente di rilevare alcun errore di fatto del giudice che l’avrebbe indotto a ritenere non proposti, o rinunciati, i motivi d’appello sollevati dal ricorrente. Il Consiglio di Stato, infatti, dopo aver riassunto il contenuto della sentenza di primo grado e delle principali censure sollevate dalle parti, ha dato atto dell’esistenza di motivi d’appello sostanzialmente coincidenti con quelli sollevati in primo grado”.

Nella sentenza poi si evidenzia che “la consulenza tecnica è stata oggetto di attento esame da parte del Collegio, il quale ha correttamente preso atto dei fatti accertati dal consulente ed ha ritenuto di aderire alla quasi totalità delle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio”.

Il primo aspetto denunciato dai ricorrente concerne il cosiddetto “effetto escludente generato dalla legge provinciale n. 13/1992, che a suo dire sarebbe stato accertato dal consulente ed immotivatamente negato dal Consiglio di Stato. Sul punto occorre osservare che la consulenza tecnica non dà per assodato l’effetto escludente, ma di fatto lo esclude, pur sollevando alcune possibili criticità dovute all’indeterminatezza dei concetti giuridici contenuti nella l.p. 13/92. In particolare a pag. 24 della consulenza si legge che 'è quindi possibile affermare che l’applicazione del criterio della distanza dai siti c.d. sensibili individuati nell’art 5 bis commi 1 e 1 bis della legge provinciale n. 13/1992 non determina una privazione dell’intero segmento di mercato. Tale risultato dipende, come in premessa, dalle ipotesi fatte in merito alla distanza minima e all’individuazione dei luoghi sensibili. È sufficiente modificare una sola di queste variabili per ottenere conclusioni diametralmente opposte. (…)'. Le considerazioni del Consiglio di Stato appaiono pertanto coerenti con quanto accertato dal consulente".

Il secondo travisamento denunciato dalla ricorrente riguarda "il contenuto della Ctu in relazione alla disfunzionalità della normativa provinciale rispetto ai fini deterrenti dalla stessa perseguiti, sia relativamente ai c.d. giocatori patologici – che subirebbero gli effetti negativi di una strategia di mercato a loro indirizzata – sia relativamente ai giocatori sociali o occasionali, rispetto ai quali non vi sarebbe alcun reale effetto dissuasivo. Anche in relazione a tale aspetto non si ravvisa alcun travisamento del contenuto della Ctu. In relazione al primo aspetto il consulente ha osservato che, mentre nel breve termine la raccolta del gioco non dovrebbe subire variazioni significative, nel lungo periodo 'il rischio è quello di una concentrazione delle strategie degli operatori verso i giocatori problematici con la finalità di attirarne un maggior numero all’interno delle sale e con la possibilità che una parte più o meno ampia di questi possa aggravare il proprio comportamento di gioco nella direzione dello sviluppo di una reale dipendenza patologica (…)' (pag. 48-49 della Ctu). La sentenza impugnata si mostra consapevole di tale rischio ma motivatamente ritiene che esso possa essere arginato con interventi successivi mirati a tutela di tale specifica categoria di giocatori (Cfr. sentenza impugnata par. 10.1.5, penultimo e ultimo capoverso: 'Né le considerazioni innanzi svolte possono ritenersi infirmate dalle osservazioni del Ctu per cui la contrazione dei segmenti di domanda da servire porterebbe inevitabilmente gli operatori degli esercizi dedicati a concentrare le proprie strategie commerciali verso i giocatori non occasionali, disposti a spostarsi per soddisfare il proprio bisogno di giocare, talché, nel breve termine, la raccolta di gioco relativa ai giocatori patologici o problematici, ovvero relativa a coloro che si caratterizzano per profilo di rischio moderato e/o severo, non dovrebbe subire per il complesso delle sale ubicate nel territorio provinciale variazioni significative, poiché tali consumatori, per i meccanismi sottesi alle dipendenze, sarebbero disposti a spostarsi anche di molto al fine di soddisfare il bisogno di gioco, con il conseguente rischio di una concentrazione delle strategie degli operatori verso i giocatori problematici con la finalità di attirarne un maggior numero all’interno delle sale e con la possibilità che una parte più o meno ampia di questi possa aggravare il proprio comportamento di gioco nella direzione dello sviluppo di una reale dipendenza patologica. Trattasi, invero, di effetti negativi nel breve periodo, da affrontare in un momento successivo con interventi adeguati incentrati sulle categorie dei giocatori problematici, mentre nella presente sede appare dirimente la non implausibile efficacia preventiva sulle categorie dei giocatori sociali/occasionali e delle fasce giovanili, onde impedirne un’evoluzione in senso patologico nel comportamento di gioco. Ne deriva l’indubbia congruità/adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite e la mancata violazione dell’art. 41 Cost. e del principio di ragionevolezza, con conseguente insussistenza dei presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale', Non vi è dunque alcun travisamento dei fatti ma, semmai, una divergenza interpretativa che, se adeguatamente motivata, rientra nel potere del giudice di valutare la Ctu, ed in ogni caso non è censurabile con lo strumento della revocazione".

Anche in relazione all’ultimo aspetto problematico segnalato dalla ricorrente, "relativo alla scarsa (o inesistente) efficacia dissuasiva delle misure in esame nei confronti dei giocatori occasionali, la Ctu non offre soluzioni univoche ma si limita a segnalare, da un lato, la possibile portata dissuasiva del c.d. distanziometro, e dall’altro il rischio che la categoria di giocatori in esame possa spostarsi sui canali di gioco online o del gioco illegale (cfr. pag. 49-50 della consulenza). Sul punto il Consiglio di Stato ha ritenuto che il potenziale effetto dissuasivo fosse sufficiente a giustificare la misura in esame anche alla luce dell’ampia discrezionalità legislativa, censurabile solo per manifesta irragionevolezza o violazione degli altri parametri costituzionali (par. 10.1.5 della motivazione: 'Quanto al profilo dell’adeguatezza della disciplina legislativa provinciale in questione rispetto alle finalità perseguite – vòlte, oltre a preservare il contesto urbano dai danni alla viabilità e alla quiete pubblica, a tutelare determinate categorie di persone (giovani o soggetti in particolari condizioni sociali e psichiche) e di prevenire il gioco d’azzardo patologico, ovvero la dipendenza dal gioco – ritiene il Collegio che, nella specie, le scelte del legislatore rientrino ampiamente nei limiti della discrezionalità riservata all’attività legislativa, nella specie esercitata correttamente, attesa l’indubbia ragionevolezza della disciplina censurata, realizzando la stessa in modo plausibile il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tramite l’introduzione di criteri distanziali di localizzazione, idonei ad arginare in via preventiva le esternalità negative dell’attività d’impresa del gioco lecito sulla salute pubblica, con ciò concretizzando, nel settore di riferimento, la clausola del mancato contrasto con l’utilità sociale di cui all’art. 41, secondo comma, Cost. (nella quale rientrano anche le esigenze di tutela della sanità e della salute pubblica), e superando con ciò la norma limitativa dell’attività d’impresa il vaglio positivo di ragionevolezza, nel rispetto di tale principio generale enucleabile dall’art. 3 della Costituzione. Infatti, premesso che deve ritenersi assodato che lo spostamento delle sale gioco in aree periferiche e la minore capillarità nella distribuzione delle stesse comportino una riduzione significativa del gioco negli apparecchi da intrattenimento in prevalenza nell’ambito della categoria dei giocatori consumatori occasionali/sociali, si osserva che, sebbene secondo le valutazioni del Ctu tale categoria di giocatori sia caratterizzata da un profilo di rischio assente o basso rispetto alla possibilità di sviluppare comportamenti patologici di gioco, l’introduzione del distanziometro, sotto il profilo della tutela della salute, ben può essere ritenuto un intervento idoneo ed efficace per prevenire forme di ludopatia, nella misura in cui il gioco occasionale sia interpretato come lo stadio iniziale di un processo che, ancorché in termini probabilistici, porti linearmente allo sviluppo di una dipendenza. Siffatta interpretazione, ancorché controversa nella letteratura del settore, si muove pur sempre entro i limiti dell’attendibilità tecnico-scientifica – infatti il Ctu, nelle relazioni peritali, dà atto che 'le tre categorie di consumatori descritte [ossia, quelle del giocatore sociale, del giocatore problematico e del giocatore patologico; Nde.] sono spesso implicitamente o esplicitamente collocate in un continuum che va dai giocatori sociali a quelli patologici e dunque interpretate da alcuni studiosi come differenti stadi di un’evoluzione in senso patologico del comportamento di gioco che, purtuttavia, va considerata come sequenza di fasi di un processo lineare solo per alcuni soggetti», citando correlativa letteratura –, sicché alla disciplina dei criteri distanziali dai siti sensibili può essere attribuita, in modo non implausibile, un’efficacia preventiva nella lotta a fenomeni di ludopatia. Occorre, sul punto, precisare che la discrezionalità del legislatore non va confusa con la discrezionalità (amministrativa e/o tecnica) dell’amministrazione pubblica, nel senso che la prima costituisce l’esplicazione delle scelte politiche degli organi investiti del potere legislativo e trova i suoi limiti nelle sole norme sovraordinate di rango costituzionale (ed, eventualmente, nel diritto eurounitario), talché la stessa, una volta rispettati tali limiti (compresi i principi di ragionevolezza e di razionalità intrinseca), non appare ulteriormente sindacabile (in sede di giudizio di costituzionalità)'. Infine l’affermazione secondo la quale: 'Ulteriori elementi utili a suffragio dell’efficacia del distanziometro possono trarsi dalla tabella 3.1. delle relazioni peritali, da cui emerge che la percentuale di giocatori con profili di rischio moderato e severo, nell’arco temporale 2007-2017, cresce nella fascia di età dai 15 ai 34 anni, raggiungendo nel 2017-2018 il 9,9 percento del totale dei giocatori, rispetto al 5,4 percento del 2007-2008. Ne deriva l’indubbia congruità/adeguatezza dell’individuazione di siti sensibili frequentati da appartenenti alla fascia della popolazione giovanile', ritenuta irragionevole dalla ricorrente, non appare censurabile in questa sede, non integrando nessuno dei vizi revocatori previsti dall’art 395 Cpc”.

 

 

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