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Tassa 500 milioni, Tar: 'Intervento una tantum, non è un nuovo tributo'

04 ottobre 2019 - 07:55

Il Tar Lazio respinge il ricorso di un concessionario contro il versamento da effettuare nell’anno 2015 in applicazione della cosiddetta 'tassa dei 500 milioni'.

Scritto da Fm

"La somma definita in capo a ciascuno dei tredici concessionari in proporzione al numero di apparecchi a essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014 deve essere ripartita tra gli operatori della filiera in misura proporzionale alla rispettiva partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali. Ciò significa anche che i gestori e gli esercenti, inizialmente obbligati a versare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, attualmente sono tenuti in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 e non devono più rinegoziare i loro rapporti con i concessionari".

 

A ricordarlo è il Tar Lazio nella sentenza con cui - come già fatto ad agosto - in parte respinge e in parte dichiara improcedibile il ricorso presentato da un concessionario per l’annullamento della determinazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli del 15 gennaio 2015, che ha determinato per la ricorrente un versamento da 83.619.053 euro da effettuare nell’anno 2015 in applicazione dell’articolo 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la cosiddetta "tassa dei 500 milioni".
 
 
Secondo quanto sostenuto "dalla difesa erariale, la norma della legge di Stabilità oggetto di contestazione non avrebbe istituto un nuovo tributo, ma avrebbe operato una riduzione dei compensi dei soggetti che compongono le filiere della raccolta di gioco praticato mediante apparecchi. In altri termini, sarebbe come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a 3,5 miliardi di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione, stabilendo poi un’apposita procedura perché questo contenimento forzoso della remunerazione si “spalmasse” tra i diversi soggetti interessati. Emergerebbe, pertanto, la circostanza che il sacrificio del 'taglio' è subito solo per una parte dai concessionari, e ricadrebbe invece per il resto sui gestori e sugli esercenti. È stato poi affermato che la rinegoziazione dei contratti della filiera potrebbe semplicemente avvenire per fatti concludenti. D’altro canto, poiché il quantum della remunerazione, nei predetti contratti, non è stabilito in misura fissa, bensì percentuale rispetto alla raccolta, non vi sarebbe nulla di più semplice di una rinegoziazione di un contratto la cui componente patrimoniale è in percentuale, purché si accetti la minore somma complessiva da ripartire", si legge nella sentenza.
 
 
I giudici del Tar Lazio dal canto loro rimarcano "che il decreto impugnato si limita ad applicare l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, indicando esattamente gli apparecchi ascrivibili a ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 e determinando di conseguenza le quote da versare. Come detto, la disposizione normativa è stata poi abrogata dall’articolo 1, comma 920, della legge n. 208 del 2015. Conseguentemente, il prelievo forzoso, destinato in origine a operare anche per gli anni successivi, è stato ridotto unicamente all’anno 2015, e si è quindi trasformato da misura strutturale in un intervento una tantum posto a carico della filiera. La limitazione dell’applicazione della norma al solo anno 2015 assume rilievo ai fini della decisione della presente controversia".
 
 
LA SENTENZA – Nelle righe successive, i giudici amministrativi argomentano approfonditamente la loro pronuncia. "Gli interessi pubblici tutelati con la misura oggetto di contestazione sono individuabili nella necessità di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del Tulps, a fronte della profonda e perdurante crisi finanziaria che ha progressivamente colpito anche lo Stato italiano.
D’altro canto, all’esito dell’acquisizione di una serie di dati, volti a individuare, in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso di 500 milioni a carico dell’intera filiera incidesse sui margini di redditività della singola impresa, per poter infine valutare il superamento o meno del limite della proporzionalità rispetto agli obiettivi di interesse pubblico, la Sezione ha constatato che, rispetto alla remunerazione complessiva riconosciuta alla filiera della società ricorrente, l’incidenza del versamento imposto non fosse ictu oculi violativa del principio di proporzionalità, con la conseguenza che non risultava violato neppure il legittimo affidamento.
Questa conclusione va tenuta ferma in questa sede, stante la limitazione dell’efficacia della misura proprio ed esclusivamente all’annualità 2015, cui si riferiscono le predette valutazioni.
Non sussiste neppure la lamentata violazione della libertà di iniziativa economica in relazione alla circostanza che al concessionario (e, a valle, agli altri operatori della filiera) viene imposto il versamento della predetta somma.
In proposito va ancora una volta considerato che l’attività in questione viene data in concessione dallo Stato a soggetti privati: circostanza, questa, da cui discende l’esistenza di un potere del primo di incidere sui rapporti con i secondi.
In ogni caso, tenuto conto dell’accertata limitata incidenza del prelievo e del rispetto del principio di proporzionalità, per le ragioni sopra esposte, non è dato rilevare alcuna violazione della libertà di iniziativa economica.
Del resto, anche nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, la Sezione aveva affermato che '(...) la determinazione in misura fissa e non variabile del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi.
In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo 'taglio' alla sua capacità di reddito, non appare tale da violare il 'principio di proporzionalità' in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non è possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera'.
Come detto, tuttavia, a seguito della sopravvenuta previsione dell’articolo 1, comma 920, della legge n. 128 del 2015, l’arco temporale di applicazione della disposizione in esame è stato circoscritto alla sola annualità 2015, per cui le considerazioni appena richiamate non hanno più ragion d’essere, essendo venuto meno il paventato pericolo di 'un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera', riconducibile alla determinazione in misura fissa, e non variabile, del prelievo nel corso degli anni a venire.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la previsione normativa, soprattutto a seguito della limitazione dell’ambito temporale di applicazione, non risulta, pertanto, in contrasto neppure con il diritto dell’Unione europea, in particolare con riguardo alla tutela dell’affidamento, né sotto il medesimo profilo si pone in contrasto con la Cedu.
Deve poi considerarsi che il concessionario rimane soggetto alle sopravvenienze normative che intervengano nel corso del rapporto.
Secondo quanto disposto dall’articolo 5, comma 2, lett. b), della convenzione, infatti, ciascun concessionario è tenuto a 'osservare le disposizioni del vigente Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, tutte le norme di legge nonché tutte le disposizioni vigenti in materia, presenti o future, dell’autorità pubblica'. In base al successivo articolo 12, comma 1, inoltre, 'Il concessionario si impegna espressamente ed incondizionatamente a versare le somme a qualsiasi titolo dovute in esecuzione dell’atto di convenzione nonché di ogni altra norma o provvedimento che disciplina gli apparecchi di gioco Awp e i sistemi di gioco Vlt, secondo le modalità ed i tempi dagli stessi previsti.'.
Va poi chiarito che nella specie non è stato istituito un nuovo tributo, atteso che il legislatore ha voluto appositamente incidere, riducendolo, sulla misura del compenso remunerativo dei soggetti che compongono le filiere delle reti di raccolta del gioco praticato mediante apparecchi.
In altri termini, visto che il denaro che lo Stato lascia a tali filiere, a titolo di compenso, è pur sempre pubblico, è come se con la legge di Stabilità lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi di euro a 3,5 miliardi di euro circa il montante delle risorse messe a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione.
Non è, pertanto, astrattamente prospettabile la violazione dell’articolo 53 della Costituzione, che si riferisce all’imposizione tributaria, e conseguentemente neppure del principio solidaristico di cui all’articolo 2 della Costituzione, che la ricorrente invoca in connessione con il predetto articolo 53.
Neppure è riscontrabile la violazione dell’articolo 23 della Costituzione, atteso che la prestazione patrimoniale posta a carico dei concessionari ha copertura legislativa, come richiesto dalla previsione costituzionale ora richiamata.
Sotto altro profilo, non può condividersi l’assunto di parte ricorrente, secondo cui la previsione del prelievo riferito solo alla filiera del gioco lecito mediante apparecchi rappresenterebbe un aiuto di Stato indiretto nei confronti di altre tipologie di giochi, che non ne sono state colpite.
Al riguardo, va rilevato che effettivamente l’articolo 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad attuare 'il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi (...)', ed è pure vero che, tra i principi e criteri direttivi cui improntare il riordino, la lett. g) del comma 2 del medesimo articolo 14 ha previsto la 'revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate'.
Può convenirsi, perciò, nel constatare che, secondo la volontà iniziale del legislatore, la revisione degli aggi avrebbe dovuto riguardare per intero il settore del gioco pubblico lecito, mentre l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 ha previsto la misura in esame unicamente con riferimento al settore del gioco mediante apparecchi.
Quanto ora evidenziato non conduce, tuttavia, alla conclusione che in tal modo lo Stato abbia dato un aiuto indiretto ai rimanenti settori del gioco.
Un primo elemento, dirimente, è che non si è in presenza di intervento dello Stato in favore dei vari soggetti che operano in tali diversi settori.
Va poi detto che, per poter sostenere che si sia introdotto un aiuto di Stato, dovrebbe rappresentarsi il quadro completo di ciascuno dei settori in questione e considerare il volume di affari generato in ognuno e le trattenute già praticate.
Sotto altro profilo, deve rilevarsi che, come è stato opportunamente evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato, negli anni 2013 e 2014, presi evidentemente a riferimento, più della metà del volume di affari del gioco lecito è imputabile alla tipologia di gioco ora richiamata. Segnatamente, nel 2013, a fronte di una raccolta complessiva di circa 84,7 miliardi di euro, ben 47,8 miliardi di euro sono derivati dal gioco mediante apparecchi, mentre nel 2014, a fronte di una raccolta di 84,5 miliardi di euro, il volume imputabile al gioco mediante apparecchi è stato superiore a 47 miliardi di euro. Si tratta, perciò, di un settore particolarmente remunerativo, molto più degli altri, e per questo si è ritenuto di colpirlo in prima battuta.
Si è già evidenziato che l’incidenza pro quota su ciascun concessionario (e di conseguenza a valle sugli altri operatori della filiera) del prelievo è tale da non risultare irragionevole e sproporzionata; dato, questo, che parimenti induce a ritenere che la modesta incisione sul settore del gioco mediante apparecchi non possa tradursi indirettamente in un aiuto in favore degli altri settori del gioco.
Deve poi rimarcarsi ancora una volta che la misura di cui si sta discutendo – già di per sé non idonea, come detto, a determinare un vantaggio indiretto in favore di altri settori del gioco – è stata ormai circoscritta a un’applicazione una tantum, stante la sopravvenuta previsione di cui all’articolo 1, comma 920, della legge n. 208 del 2015, che ha abrogato l’articolo 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014".
 

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