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Shalpy, l’energia attira alchimia, anche nel gioco

29 gennaio 2022 - 08:57

Giovanni Scialpi, oggi 60enne, si racconta, dal rapporto di amore e odio con i social network al 'ritorno' in Italia.

Scritto da Daniele Duso

Dall’esordio, nel 1983 con “Rocking Rolling” che lo ha portato a trionfare nella sezione "Discoverde" del Festivalbar 1983 a "Cigarettes and Coffee" (1984), e poi ancora “No East No West” (1986) e poi “Pregherei” (con la quale vince il Festivalbar 1988 in coppia con Scarlett) Giovanni Scialpi, che dal 2012 ha voluto dare un restyling al suo nome d’arte, modificandolo in Shalpy, ha continuato instancabilmente il suo percorso, un cammino di ricerca e rinnovamento continuo che lo ha portato a sperimentarsi anche come attore, nel musical “Pianeta proibito”, e a trovare il successo anche fuori dall’Italia, in particolare nel mercato spagnolo.

“In quarant’anni di carriera ho voluto fare diverse esperienze”, conferma lui stesso, “scegliendo strade nuove soprattutto quando ancora non erano di moda”.

Già, la moda, un termine che porta in sé fascino e pericoli, soprattutto in ambito artistico. Cosa pensa Shalpy della musica in Italia? “Essendo un artista a 360 gradi, con una concezione molto americana, ho avuto, e ho tutt’ora la possibilità di confrontarmi con delle realtà che non sono locali. L’unica cosa che vedo è che su molti aspetti non siamo emancipati. Vedo programmi con gente che canta e balla, ma non si vede quasi mai il talento originale, quello capace di rinnovare qualcosa”.

L’ultimo che ricorda? “Marco Mengoni, lui è stato, secondo me, una grandissima scoperta. Ma per il resto manca la struttura, siamo rimasti al neorealismo. In Italia abbiamo una mentalità troppo chiusa, attorno alla quale si è creato uno show business che è come un vortice del quale non si vede la fine”.

E dei personaggi più recenti cosa pensa? Ora stanno spopolando i Maneskin... “I Maneskin non hanno repertorio, hanno un talento che è tutto da dimostrare. Vede, il problema è che molti confondono l’essere spinti, da Sony ad esempio, con l’avere talento”.

In un mondo che è cambiato moltissimo nel giro di pochissimi anni, lei ha continuato a studiarsi e a rinnovarsi. Qual è il suo rapporto con i social, oramai forse imprescindibili per un artista?  “Utilizzo molto Tik Tok e Instagam, anche se hanno spesso dinamiche demenziali, mentre io non ho basato la mia carriera sull’idiozia. Un esempio? È da due mesi che provo a mettere una chicca su Tik Tok. Si tratta di una canzone inedita e… beh, non se la fila nessuno. Poi faccio un filmato dove vado dal parrucchiere e i capelli mi tornano al colore naturale, e faccio migliaia di like. A me piace poi molto la grafica, ma faccio una grafica nuova, la pubblico sui social, e non gliene frega niente a nessuno. Interessa solo se metto l’occhio più o meno azzurro”.

Una situazione sconsolante, insomma. “No, mi hanno spiegato che sbaglio io, perché la canzone non interessa più a nessuno. Mi hanno detto che se la divido in tre e la propongo in brani di trenta secondi, è facile che entri di più. Si è sovvertito l’uso della musica”.

Come pensa che ne verremo fuori? Se ne verremo fuori… “Io penso che esistono i flussi e i riflussi. Lo stiamo già notando in altri ambiti, dove magari nessuno se lo sarebbe aspettato: pensi a una ragazzina come Greta Thunberg che, dalla sua scrivania e con il suo computer, è arrivata dove è arrivata. Quando ci si scontra con delle motivazioni forti è così, e a mio parere sarà così anche con la musica. Ci sarà un ritorno. Ripartiremo dai cantautori, e già qualcuno ha cominciato a emergere, con la loro anima, il loro imprinting, la loro genia”.

Nel frattempo anche Shalpy, nonostante qualche volta abbia detto di avere intenzione di farlo, non si ferma. Quando la rivedremo in Italia?  “Non mi fermo, anzi. Ho presentato una canzone a Sanremo (che non è stata inclusa tra le scelte degli organizzatori). Torno a cantare in italiano e tornare a Sanremo, dopo 25 anni, sarebbe stato un grande evento. Sarebbe stata una bella scommessa, perché l’eco delle mie canzoni è sempre minore, perché io mi autoproduco, in Italia siamo rimasti in due a farlo: io e Renato Zero”.
 
A proposito di scommesse, che rapporto Shalpy con il gioco?  “Qualche volta provo un gratta e vinci, anche se finora ho vinto al massimo 5 euro, ma è un gioco, appunto. Io credo molto nell’energia, nella possibilità di emettere, di attirare delle alchimie che non conosciamo oggi, credo che il segreto sia giocare quando uno se la sente. Quello è il momento magico che porta il beneficio, anche se si perde. Non crea dipendenza e non dà delusione, perché si è spinti solo dalla voglia di giocare”.
 
Una bella immagine. “Vede, conosco benissimo Las Vegas, c’è talmente tanta proposta di gioco da far girare la testa. Ma io penso sia da prendere tutto, appunto, come un gioco. L’unica cosa importante è credere in sé stessi”.

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