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Ultracycling, la vita 'oltre il limite' di Omar Di Felice

21 settembre 2021 - 08:36

Omar Di Felice indica la sua strada per la felicità: uscire fuori dalla propria zona di comfort. E percorrerla, magari in bicicletta!

Scritto da Anna Maria Rengo

Mai rinchiudersi nel proprio orticello, o “zona di comfort” come la si voglia chiamare. Solo fuori da questa zona, infatti, la felicità ci attende. Parola di Omar Di Felice, l’atleta italiano che più si è distinto nell’ultracycling, specialità del ciclismo in cui si gareggia su lunghissime distanze. Una vita dedicata all'avventura e consacrata alla passione per la bicicletta, sbocciata nel 1994 seguendo le gesta del grande Marco Pantani e mai sbiadita. Una passione che viene raccontata anche nei suoi libri, ultimo dei quali è “Zona Omar, Stati Uniti coast to coast, pedalando oltre il limite”, edito da Baldini+Castoldi.

 

“Zona Omar – racconta il giovane scrittore-atleta – nasce dalla volontà di raccontare la mia esperienza del 2019 negli Stati Uniti, dove ho effettuato prima l’attraversata in verticale dell’Alaska in inverno e poi ho preso parte alla Trans America Bike Race (7000 chilometri nel cuore degli Stati Uniti, un coast to coast dall’Oregon alla Virginia), raggiungendo il podio. Sono partito in totale autonomia, per un viaggio coast to coast che è nell'immaginario collettivo di molte persone come quello della vita. Per me è stata una grande soddisfazione, ho percorso una delle rotte più belle e racconto come ho deciso di mettermi in gioco. Spero che questo mio secondo libro aiuti le persone a motivarsi e a cercare la felicità al livello che appartiene loro, per me per esempio quello atletico. Ognuno di noi, nel proprio piccolo, può darsi grandi e piccoli obiettivi quotidiani”.

 

Pensi che tutti noi abbiamo l'attitudine a metterci in gioco oltre la nostra zona di comfort oppure molti cercano proprio lì la loro personale felicità?
“In realtà io credo una cosa ben precisa: l'essere umano cerca la sicurezza dentro la zona di comfort per paura di quello che c'è fuori, ma la felicità arriva solo quando sei disposto a metterti in gioco con te stesso e a metterti d'impegno per trovarla. Io non faccio niente di speciale, ho sentito l'attitudine propria dell'essere umano e, a un certo punto della mia vita, ho deciso di perseguirla”.
 
La tua vita è caratterizzata dalla grande passione per la bicicletta. Vuoi condividere con noi i segreti di questa passione?
“Io, banalmente, ho avuto un colpo di fulmine per la bicicletta a tredici anni. Mi sono innamorato follemente, sono salito in sella di quella che sarebbe stata la compagna della mia vita e non sono più sceso. In bici ho vissuto gli anni più importanti dell'adolescenza e tanti momenti difficili. In bici mi sento a casa, ho un legame primordiale con un mezzo che ci consente di esprimerci senza alcuna contaminazione esterna e che si muove solo grazie alla forza umana. La bici restituisce all'essere umano il suo potere”.
 
Tu definisci l'ultracycling una filosofia di vita. In che cosa consiste e che cosa insegna?
“Questa disciplina estrema è più di un semplice sport e va interpretata come una filosofia di vita: ti trovi per svariati giorni nelle più diverse condizioni climatiche a pedalare e quindi si va oltre la gara e diventa un momento di vita importante.
L'ultracycling mi insegna a superare le difficoltà, è una palestra fondamentale nella quale devi affrontare la fatica estrema e trovare il modo per tirarti fuori dai guai. Se fai queste cose estreme, poi i problemi di tutti i giorni li vedi in un'ottica diversa”.
 
Come vivono i tuoi familiari la tua passione per l'ultracycling?
“Ho una compagna, Sara, con la quale quale ho condiviso l'inizio della mia carriera nell'ultracycling. Se non avessi avuto comprensione per i miei sogni e ambizioni, oggi non sarei dove sono. È importante avere accanto chi sa chi sei e cosa fai, e dunque non devi passare la giornata a spiegarlo. Se non fossi compreso sarebbe impossibile portare a termine queste avventure, queste competizioni che richiedono che si sia al 100 percento anche dal punto di vista mentale, e se non lo si è ciò si riflette negativamente sulla prestazione”.
 
Quali sono le sfide ciclistiche vinte che più ti hanno dato soddisfazione e quali ancora ti restano da soddisfare?
“Più che di sfide mi piace parlare di 'percorso'. Ci sono state tante tappe che hanno seguito la mia evoluzione e il mio approccio: prima era più agonistico; ora, andando avanti con l'età, è più esplorativo. Io amo il freddo e le zone artiche, e sicuramente per il futuro ho in mente mete molto estreme e remote, tra cui la Groenlandia, un luogo incontaminato. Tra le esperienze più belle, arrivare in bici al Campo base dell'Everest, ma anche percorrere il deserto dei Gobi in Mongolia”.
 
Tu che ami, senza alcun dubbio, la vita all'aria aperta come hai vissuto la pandemia e il confinamento casalingo che imponeva?
“Proprio quando il mondo si fermava per il lockdown sono arrivato al Campo base dell'Everest, cosa curiosa. Ma quando sto a casa, il 20 percento del mio tempo, mi piace viverlo in maniera casalinga. Penso che il Covid ci abbia chiesto la capacità di adattarci a una nuova situazione, una sfida che ho accettato cercando di capire come e in che termini ciò fosse possibile”.

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