Adesso o mai più. Se la riforma del gioco pubblico non verrà compiuta – o, quanto meno, impostata - all'interno di questa legislatura, ciò vorrà dire che non si potrà mai realizzare. Sì, perché l'attuale esecutivo, come forse non accadeva da tempo, pur perseguendo una linea evidentemente diversa da quella promessa durante la compagna elettorale (si pensi ai temi che riguardano le politiche europei e internazionali), sta comunque dimostrando una volontà netta di intervenire su tutti i temi, senza esclusioni. Realizzando le riforme che si rendono necessarie e prendendo delle decisioni, magari anche scomode, ma necessarie per sovvertire i vecchi equilibri e le varie situazioni stagnanti, legate al mantenimento di uno status quo, che oggi non può più funzionare. Del resto, al di là delle singole posizioni politiche e delle ideologie di partito, che spingono ogni governo (politico) a sovvertire i centri di potere creati da quelli precedenti, stavolta l'esecutivo di turno si trova anche a fare i conti con una situazione storica decisamente particolare, con l'uscita dalla pandemia e dalla crisi economica da essa provocata, a cui si è andata sommando quella portata dal conflitto in Ucraina e dalle altre situazioni di politica internazionale, imponendo interventi concreti e riforme urgenti.
Tra i settori in attesa di interventi (e, soprattutto, tra quelli vittime del lassismo della politica negli ultimi anni), c'è senz'altro quello del gioco pubblico, che da troppo tempo attende, invano, quel Riordino generale del comparto di cui si è parlato fin troppo, senza mai passare i fatti. Ma stavolta sembra proprio che la situazione sia destinata a cambiare, come è evidente dal percorso avviato in Parlamento con la legge delega e dalle discussioni generali avviati dall'esecutivo, come siamo soliti raccontare in questi mesi. Due fronti di discussione che stanno facendo emergere le vere esigenze e necessità del comparto e di una sua adeguata regolamentazione, che possa essere in grado di tutelare tutte le parti coinvolte: non solo l'industria, quindi, e l'Erario, ma anche – e soprattutto – i consumatori e gli enti locali (nel senso più ampio del termine), visto che è ormai evidente a tutti che la situazione di parziale abbandono da parte della politica nei confronti del gioco, è finita col creare non pochi problemi anche alle Regioni e ai Comuni. Anche se ciò è dovuto non dalla mancanza di norme e di leggi, come qualcuno ha voluto far credere in passato, bensì dalla loro abbondanza e sovrapposizione, che hanno portato all'esplosione della ben nota "Questione Territoriale" che continua ancora oggi a destabilizzare alcuni territori, in attesa della soluzione governativa, che tarda ancora ad arrivare. Un esempio concreto proviene – come noto – dalla Provincia di Trento, dove la diatriba impazza, continuando a tenere banco e ad affollare i tribunali locali. Seppure inspiegabilmente, diciamolo pure. Se qualcuno provasse ad analizzare la situazione del gioco pubblico sul territorio altoatesino con il distacco necessario e un punto di vista aperto e imparziale, noterebbe subito le diverse anomalie che condizionano il dibattito politico e legislativo a livello locale, come pure la pressoché totale inutilità della discussione, che si è ridotta nel tempo unicamente a una mera e sterile questione di principio. Si, perché l'offerta di gioco (legale) sul territorio è ormai ridotta ai minimi termini, da tempo. E i ricorsi che continuano a riempire le aule dei tribunali sono soltanto quelli dei pochi operatori rimasti in vita, e a fatica, che provano a salvare la loro fonte di reddito, spesso l'unica, per provare a tutelare le proprie imprese e dipendenti. Mentre tutto intorno non si manifesta nessun tipo di emergenza sanitaria, sociale o di ordine pubblico, dovuta a un eccesso di offerta di gioco. Quella che, invece, potrebbe scaturire da una pressochè totale cancellazione del gioco legale dal territorio, che sarebbe inevitabilmente rimpiazzato da un'offerta illegale, che già oggi rappresenta il vero cancro per il sistema-paese e il vero nemico da combattere.
Invece, nonostante tutto, a Trento si continua a combattere a livello politico e giuridico per veder affermare un potere di controllo e regolazione del territorio, anche a scapito delle imprese locali, provocando di fatto un cortocircuito nella tutela dei diritti costituzionali. Sì, perché se nessuno ha dubbi sulla volontà e legittimità da parte dell'amministrazione locale di volter proteggere la salute dei cittadini, occorre comunque notare che l’obiettivo deve essere perseguito in modo concreto e adeguato. Anche perché occorre ricordare che lo stesso obiettivo è al centro di quelli perseguiti dal Legislatore nazionale con la creazione del comparto del gioco pubblico, che non a caso è (era?) oggetto di una Riserva di Stato. Ma nonostante questo, a Trento, ci si continua ad arroccare dietro a sentenze parziali dei tribunali locali, che scegliendo di non scegliere, si ritrovano ormai sistematicamente ad accogliere le richieste di sospensione degli operatori locali per scongiurare la chiusura – palesemente ingiusta – delle loro attività, ma facendo finta di non vedere l'incompatibilità delle restrizioni adottate, attraverso la logica delle distanze dai punti sensibili, che rendono praticamente non insediabili nuove o vecchie attività nelle zone interessate dalla legge locale. In attesa di un'udienza di merito che probabilmente non risolverà nulla, ancora una volta, volendo attendere, forse, un intervento concreto dalla politica centrale. Anche se i tempi di attuazione della legge delega appaiono troppo lunghi per poter gestire la situazione del Trentino in modo adeguato. Ed è proprio questo il rischio contro li quale combattono le imprese locali, nella speranza di poter almeno continuare a operare fino al momento del vero Riordino.
Eppure, questa situazione di crisi e conflitto che si potrae ormai da oltre dodici anni, appare talmente anacronistica se confrontata con le logiche introdotte dal nuovo esecutivo, da sembrare del tutto surreale. Al punto che, mentre Trento continua a stringere le maglie, nel resto d'Italia si torna a parlare – addirittura – dell'apertura di nuove case da gioco: come se l'offerta non fosse abbastanza diffusa e capillare sul territorio. E mentre a livello generale sembra ormai nota a tutti anche l'esigenza di estendere il numero di concessioni per l'offerta di gioco che dovranno essere bandite con le prossime gare, proprio per poter garantire un'offerta adeguata di gioco di Stato sul territorio, evitando la proliferazione di quella illecita. Per una doppia visione della realtà, che accompagna la sempre presente doppia morale del nostro paese.