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Questione territoriale: lo Stato sceglie ancora di non scegliere

28 novembre 2022 - 11:48

Il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro la legge provinciale di Bolzano che espelle il gioco pubblico e rilancia la Questione territoriale, che diventa emergenza.

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Ci risiamo. Ancora un volta lo Stato italiano ha scelto di non scegliere, quando si tratta di regomentare l'offerta di gioco. O, peggio ancora, quando si tratterebbe in realtà “soltanto” di ristabilire l'ordine previsto dalla disciplina nazionale, ma abrogato nei fatti dalle amministrazioni regionali, attraverso quelle leggi locali restrittive che, contravvenendo alle disposizione del legislatore nazionale, hanno introdotto una serie di divieti teoricamente contrari alla legge, ma che diventano oggi, a loro volta, delle nuove leggi. Tutto questo accade, ancora una volta, a Bolzano: ovvero, lì dove lo storico contenzioso tra Stato ed Enti locali in materia di gioco pubblico ha avuto origine, nell'ormai lontano 2011, dando poi il via a un effetto domino che ha poi portato praticamente ogni regione e territorio ad adottare regole proprie sulla materia, scatenando la cosiddetta Questione Territoriale. E anche se, col passare del tempo (e con immensa fatica) la maggior parte delle Regioni hanno fatto marcia indietro, in parte o in toto, rispetto alle proprie discipline “espulsive” del gioco locale, nella comunità autonoma di Bolzano la materia è rimasta sempre in vigore e di grande attualità: fino ad arrivare al giudizio finale dei giorni scorsi, da parte del Consiglio di Stato, che scrive ora in qualche modo la parola fine sul contenzioso. Ma non - si badi bene - sulla Questione territoriale, come sarebbe accaduto in caso di vittoria degli operatori o di ritiro (o modifica) della legge territoriale: a finire è soltanto l'oggetto del contendere perchè a vincere, questa volta, è stata proprio l'amministrazione locale, che dopo anni di battaglie legali contro l'industria e una serie di vicissitudini giurisprudenziali (al punto da essere arrivati alla richiesta di revocazione della sentenza emessa nel marzo 2019, con cui il Collegio aveva confermato la decadenza delle autorizzazioni per alcune sale gioco della provincia di Bolzano e negato l'effetto espulsivo della normativa vigente), riesce a spuntarla, con i giudici di Palazzo Spada che hanno respinto in serie le ultime richieste degli addetti ai lavori. Sia pure senza entrare minimamente nel merito della questione e, quindi, ritenendo leggittima fino in fondo la norma locale, ma limitandosi a decretare l'inammissibilità formale dei ricorsi in merito alla richiesta revolcatoria. Questioni formali dunque, senza guardare (e giudicare) la sostanza. Col risultato, però, decisamente sostanziale, che adesso le sale da gioco attive sul territorio dovranno chiudere. E pur avendo resistito, proprio grazie ai ricorsi in tribunale, per oltre sette anni, alla fine si trovano a capitolare poiché vittime di una legge palesemente espulsiva del gioco legale, ma tant'è. E poco importa se, quello stesso principio - contrario ai dettami dello Stato in materia di pubblica sicurezza, ma anche di libertà di impresa - è stato più volte fatto valere in altri tribunali e in altri territori: lo Stato, su Bolzano, ha scelto di non scegliere. Proprio come  hanno fatto gli ultimi governi sulla materia, evitando di prendere posizioni nette e definitive e lasciare che la Questione territoriale facesse il proprio corso, da Nord a Sud della Penisola, sia pure mietendo vittime, tra le imprese del settore. 
Neanche l'accordo (presunto) siglato nel 2017 tra l'allora governo Renzi e la Conferenza unificata sul riordino del settore (presunto anche quello) da avviare di concerto con gli enti lcoali, è servito a frenare la furia abolizianista altoatesina. Come del resto è accaduto anche in qualche altro territorio particolarmente ostile nei confronti del gioco, come l'Emilia-Romagna, dove tante sale da gioco hanno già chiuso i battenti, soccombendo di fronte a una legge regionale espulsiva e a una giurisprudenza particolarmente ostile.
Senza un'intervento chiaro e diretto del governo, dunque, non si potrà ma risolvere a fondo la Questione: serve una riforma del gioco pubblico, quell'atteso Riordino di cui parliamo ormai da anni, che possa fare chiarezza e dare certezze alle imprese che  operano nel comparto e, di conseguenza, anche ai consumatori. Anche se, a dirla tutta, un'occasione utile per risolvere la Questione territoriale potrebbe arrivare anche dall'attuale Legge di bilancio, in cui si parla di “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep), e di quella che è stata definita “autonomia differenziata” voluta dal ministro Roberto Calderoli. La norma, studiata al ministero per gli Affari regionali e le Autonomie, intende definire la misura minima dei servizi pubblici da garantire in tutta Italia. Al punto che è stata creata a palazzo Chigi una Cabina di regia specifica sui Lep, che entro un anno dovrà individuare i livelli essenziali delle prestazioni nelle materie che possono traslocare dal centro alle regioni con l'autonomia differenziata in base all'articolo 116, terzo comma della Costituzione.
Il gruppo lavorerà con la Commissione tecnica sui fabbisogni standard del Mef, sarà presieduta dallo stesso Calderoli e composta da Raffaele Fitto (ministro per gli Affari Ue, Sud e Pnrr), Elisabetta Casellati (Riforme), Giancarlo Giorgetti (Economia), Massimiliano Fedriga (presidente della Conferenza delle regioni), Michele de Pascale (Upi) e Antonio Decaro (Anci). Alla Cabina parteciperanno poi i ministri competenti sulle materie oggetto dell’autonomia differenziata. Un'occasione, anche questa, per occuparsi di materie collaterali che, come quella del gioco, impattano sui territori pur avendo una struttura (teoricamente) centrale. Anche se, pure in questo caso, c'è chi vede in tale norma un serio rischio di spaccare in due il paese, tenendo conto delle differenze tra Nord e Sud della Penisola in ottica di ripartizioni delle risorse, determinate dalla spesa storica dei territori. Eppure, di fronte al gioco, la differenza tra meridione e settentrione non era mai stata evidente, visto che in tutti i casi la logica era quella di vietarlo, limitarlo o arginarlo. Anche se al Sud, forse, è stato più semplice, a quanto pare, far prevalere il buonsenso delle amministrazioni locali, fino ad arrivare al revirement. Mentre in territori come Piemonte, Lombardia e altri, il percorso è stato molto più lungo e impervio, con i casi limite citati poco fa, di Bolzano ed Emilia, dove non si è neppure riusciti a ragionare. Ci vorrebbe una cabine di regia anche sui giochi, dunque, prima ancora di una riforma.

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