skin

Questione territoriale e Autonomia differenziata: rischi e opportunità per il settore

26 giugno 2023 - 10:34

Il governo è intenzionato a portare avanti il testo di legge voluto dalla Lega, sia pure con varie criticità e i rilievi dei tecnici del Senato: un tema “caldo” anche per il gioco pubblico.

Immagine: George Hodan, licenza "CC0 Public Domain"

Immagine: George Hodan, licenza "CC0 Public Domain"

Nessuna marcia indietro da parte del governo sul disegno di legge per l’Autonomia differenziata. Almeno per ora. Il progetto legislativo, fortemente voluto dalla Lega e spinto dal deputato Roberto Calderoli che ne è il firmatario in Parlamento, prosegue il suo iter alle camere, promettendo anche un'accelerazione. Anche se la nota di lettura appena offerta dal Servizio bilancio del Senato mette in luce diversi aspetti del disegno di legge che rischiano di tagliare le risorse per le regioni più povere o far lievitare gli oneri per il bilancio dello Stato. Sollevando nuove crititiche e ulteriori perplessità e scatenando il dibattito. Per un provvedimento che continua a rivelarsi divisivo. Anche se, in parte, sostenere che il ddl possa addirittura spaccare il Paese potrebbe apparire un’esagerazione. Ma solo fino a un certo punto. È evidente a tutti, in effetti, che il Paese è già spaccato, tra Nord e Sud, economicamente ma anche politicamente, e proprio sul tema delle autonomie. E la pubblicazione nei giorni scorsi sul sito del Senato della “nota di lettura” del Servizio del bilancio di Palazzo Madama sul ddl Calderoli, con le (inevitabili) reazioni che sono seguite, ha soltanto riacceso i riflettori su un tema che da sempre divide. 

Le criticità del provvedimento

Come analizza puntualmente il quotidiano economico IlSole24Ore, il dibattito che si è scatenato è concentrato sullo scontro tra i partiti: accanto alla ben nota posizione della Lega, per la quale tale riforma appare come una bandiera, c'è Fratelli d’Italia che ha una visione centralizzata dello Stato, come è evidente tra l’altro dall’indirizzo che il ministro Raffaele Fitto sta cercando di imprimere alle politiche di coesione e sui relativi fondi, nazionali o europei che siano, oltre che al Pnrr. Un'evidente contraddizione nella maggioranza, dalla quale, forse, scaturisce anche la forma, buffa e piuttosto insolita, che è stata utilizzata per la nota del Senato, la quale viene auto-declassata a “bozza provvisoria non verificata”: senza però evitare di mettere in luce le varie “criticità”, che non risultano di poco conto. Anzi. In primo luogo, la nota evidenzia il divario tra Regioni ricche e regioni povere: “Al riguardo (…) si segnalano, in linea generale, alcune criticità che potrebbero derivare dall’utilizzo delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali maturati nel territorio regionale” si legge nella nota di lettura del Senato che prosegue: “Nel caso di un consistente numero di funzioni oggetto di trasferimento potrebbe profilarsi l’eventualità di una incapienza delle compartecipazioni regionali sui tributi statali”. In altre parole, le risorse prelevate dal gettito potrebbero non bastare. Oggi, osserva il quotidiano economico, la sanità affidata alle regioni è finanziata con una compartecipazione di circa il 70 percento dell’Iva. Inoltre “le regioni più povere, ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive” proprio perché – base al meccanismo di compartecipazione - non avrebbero risorse sufficienti. Questo significa che l’autonomia differenziata conviene alle regioni ricche che volendo potrebbero anche alzare il livello dei servizi ai cittadini, mentre le altre non se la possono neanche permettere. Le distanze aumenterebbero, alla faccia della coesione. Ma la nota del Servizio bilancio del Senato aggiunge altre considerazioni: cosa avviene in caso di ciclo economico negativo e del conseguente calo di gettito? Le regioni avrebbero le mani legate dal momento che le funzioni acquisite sono finanziate da tributi le cui aliquote sono decise a livello centrale e su cui non possono intervenire. 
Un’obiezione viene mossa anche all’ulteriore attribuzione di funzioni amministrative dalle regioni a comuni, province e città metropolitane: “potrebbe far venir meno il conseguimento di economie di scala”, dunque con costi maggiori per lo stesso servizio. Perciò, secondo il Senato, “andrebbe assicurato” che ciò avvenga “senza ulteriori oneri aggiuntivi a carico dei bilanci degli enti territoriali”. Ma il vero punto debole del ddl Calderoli, secondo il Senato, sembra l’articolo 8 che introduce una clausola di “invarianza finanziaria” in virtù della quale dall’applicazione della nuova legge e di ciascuna intesa tra Stato e singole regioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Nel caso in cui ciò avvenisse, per esempio in seguito alla determinazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e dei relativi costi standard, il trasferimento delle funzioni alle regioni è subordinato all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le risorse necessarie, in linea con gli obiettivi di finanza pubblica e gli equilibri di bilancio. Ciò riguarda anche le altre regioni perché “le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni”. La relazione tecnica che accompagna il ddl Calderoli ritiene solo “astrattamente possibile” che la determinazione dei Lep generi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Tuttavia, osservano gli esperti del Senato, “tali effetti onerosi, come evidenziato dalla relazione tecnica, potranno concretizzarsi al momento della determinazione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Non solo. “Ulteriori oneri – scrive il Servizio del Senato nel corposo commento all’articolo 8 che vale la pena riportare quasi per intero - potrebbero derivare nella fase successiva alla determinazione dei LEP, in sede di verifica su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa, con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché in sede di monitoraggio degli stessi”. Altri costi potrebbero derivare dalla valutazione annuale degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, “dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, secondo quanto previsto dall’intesa” con lo Stato.
Ma la nota si spinge anche oltre, analizzando per esempio il tema delle coperture finanziarie, che  rimanda alla compartecipazione ai tributi erariali, “senza peraltro indicare quali”, mentre per gli eventuali ulteriori oneri “si limita a rinviare all’articolo 17 della legge di contabilità” sulla copertura finanziaria delle leggi e al rispetto degli equilibri di bilancio. “Uno specifico chiarimento – sottolinea infatti la nota del Senato - andrebbe, in particolare, fornito relativamente alle modalità con cui le intese, non potendo pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, dovranno conciliare questa condizione con quella di trasferire alle Regioni differenziate le funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili” (...) “senza compromettere la sostenibilità finanziaria della misura”. 
Insomma, sono tanti i punti che non convincono (anche) i tecnici parlamentari. E al di là della forma del documento, bozza o non bozza che sia, non si potrà in ogni caso ignorare il parere. La nota di lettura, infatti, è un elaborato che analizza gli effetti delle leggi sulla finanza pubblica, facendo sostalzialmente le pulci alle relazioni tecniche elaborate dal Governo per accompagnare in parlamento ciascun provvedimento e verificare se e quali costi aggiuntivi comporta per lo Stato. Il meccanismo di trasferimento di competenze alle Regioni, previsto dal disegno di legge che prende il nome dal ministro leghista Calderoli, si basa su un’intesa tra lo Stato stesso e la Regione che richiede l’autonomia. Il testo prevede tra l’altro che non debbano derivare nuovi oneri per il bilancio pubblico. Le competenze attribuite alle regioni saranno dunque finanziate “attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali, maturato nel territorio regionale” (articolo 5 comma 2 del ddl), in modo tale, precisa la Relazione tecnica, “da consentire l’integrale finanziamento delle funzioni attribuite alle regioni” senza “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. In teoria: ma la pratica, si sa, è sempre diversa da ciò che dicono i libri.

Le ricadute sul comparto del gioco pubblico

Ma l'aspetto che più interessa l'industria del gioco pubblico è l'effetto che tale riforma potrebbe avere sul comparto e sulla sua distribuzione, tenendo conto che già oggi, in regime di sussidiarietà generale ma di riserva di legge sul settore, il primo problema che affligge il comparto è proprio quello della cosiddetta "Questione territoriale". Figuriamoci quindi cosa potrebbe accadere in caso di maggiori poteri concessi a determinate Regioni. Basta pensare, per esempio, cosa ne potrebbe fare un territorio come l'Emilia-Romagna, che già in condizioni attuali, ha dichiarato guerra al settore. Per esplorare i rischi e le eventuali opportunità, abbiamo già interrogato gli esperti in materia, nei giorni scorsi, come Giuseppe Arconzo, professore di diritto costituzionale e docente di Diritto regionale e degli enti locali all'Università statale di Milano. Secondo il quale “L’impressione è che, alla luce della giurisprudenza costituzionale già formatasi in materia, il tema dell’autonomia differenziata non possa incidere più di tanto su questo specifico ambito, per il fatto che le Regioni, già nell’attuale configurazione, sono titolari di competenza legislativa in materia”, puntualizza il professore. “In materia di giochi, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, possono individuarsi due categorie di norme: una prima categoria comprende le previsioni che disciplinano il contrasto al gioco illegale, nonché quelle che individuano i giochi leciti e che regolano le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco. Una seconda categoria di norme invece è volta a contrastare la ludopatia, anche attraverso limitazioni relative all’ubicazione dei locali o all’apposizione di limiti e distanze di tali locali da "luoghi sensibili". Nello specifico, secondo la stessa Corte costituzionale, alle Regioni è quindi, già oggi, consentito di 'intervenire con misure tese a inibire l’esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati 'sensibili', al fine di prevenire il fenomeno della 'ludopatia'. 
Rilevando dunque che, anche eventuali estensioni dell’ambito di autonomia in materia di “tutela della salute”, non dovrebbero sostanzialmente incidere sulla già esistente competenza delle Regioni a dettare distanze e limiti orari relativi alle sale da gioco e agli apparecchi da gioco. Come a dire - il professore di perdonerà l'estrema sintesi -  che peggio di così non potrebbe andare. Eppure, il tema della compartezipazione al gettito da parte degli enti locali, sembra voler parlare anche di gioco: e la sensazione diffusa è che si possa andare a parare proprio da quelle parti. Anche se lo Stato, in precedenza, si è sempre dichiarato restio a cedere anche un solo euro dei proventi del gioco dalla fiscalità generale. Ma su questo bisognerà capire quale sarà la linea della premier Giorga Meloni la quale, per ora, si è limitata soltanto ad osservare che “Con il disegno di legge quadro sull'autonomia puntiamo a costruire un'Italia più unita, più forte e più coesa”. Parlando di “Un provvedimento che declina il principio di sussidiarietà e dà alle Regioni che lo chiederanno una duplice opportunità: gestire direttamente materie e risorse e dare ai cittadini servizi più efficienti e meno costosi”. E la speranza degli addetti ai lavori è che prevalga proprio la linea di Fratelli d'Italia nella maggioranza, che come indicato poc'anzi è mirata in generale all'accentramento dei poteri e non alla parcellizzazione. Per il momento non resta che attendere i prossimi sviluppi, anche in seguito alla nota del Senato, affidandosi proprio alle parole della premier, quando parla di un'opportunità per le Regioni per emergere e per il paese di migliorare, e non di un rischio di ulteriori divisioni. In quest'ottica, dunque, la discussione sull'autonomia potrebbe rivelarsi un'opportunità per discutere e risolvere anche l'annosa Questione territoriale, definendo bene perimetro e ambiti di applicazione delle norme locali e di destinazione delle entrate erariali. Ma quello che preoccupa, si ribadisce, è la solita distanza tra le teoria e la reale applicazione pratica: come dimostra proprio la stessa Questione territoriale, che si fa beffa, di fatto, anche della Riserva di legge tutt'ora vigente sul gioco.

Una settimana decisiva per il paese
Per adesso, per fortuna o purtroppo, il governo ha altre gatte da pelare, in questio giorni: aa una parte il pressing delle opposizioni sul caso che riguarda il ministro del turismo Daniela Santanchè, dall’altra il rebus del Mes che ha creato un (altro) cortocircuito nella stessa maggioranza. Sarà dunque alta l’attenzione del governo verso ciò che succederà in questi giorni in Parlamento, dove tra l’altro Giorgia Meloni si presenta questa settimana per le comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo, per dare acnhe un aggiornamento sulla crisi russa, dopo le complicazioni ulteriori legate al conflitto in Ucraina.

Altri articoli su

Ti interessa questo argomento?
Registrati all’area riservata e segui i tuoi tag preferiti. Accederai all’elenco di tutti i nuovi articoli che usciranno legati a questi tag.

Articoli correlati